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Prende piede la psicologia dell’inflazione

Le spinte inflazionistiche sono ora ovunque: dall’inizio dell’anno, i dati sull’inflazione sono superiori alle aspettative di molti analisti e commentatori. Da decenni l’indice dei prezzi al consumo non toccava livelli così alti sia nei mercati sviluppati, sia in quelli emergenti, con alcune variazioni tra i Paesi. I rapidi aumenti dei prezzi, alimentati dal conflitto in Ucraina che ha stravolto il mercato dell’energia e delle materie prime, sono ora sostenuti da un fattore più profondo, intrinsecamente psicologico.

  • Inflazione e psicologia: il ruolo della memoria collettiva di breve e lungo termine, le reazioni pubbliche, e la diffusione delle narrative tramite gli agenti economici e i media garantiscono che la profezia autoavverante dell’inflazione finisca col realizzarsi. Questo è un processo di risveglio della memoria e fa parte della narrativa più ampia del “ritorno agli anni ‘70”.
  • Il ruolo dei policy maker: mentre quest’ultimi sono sotto forti pressioni affinché varino misure di protezione, l’inflazione sta favorendo l’aumento delle politiche accomodanti e non il loro smantellamento, col risultato che si genera altra inflazione. La politica monetaria è rimasta dietro la curva e le autorità sono alle prese con il dilemma di come combattere l’inflazione senza soffocare la crescita.
  • Le conseguenze per gli investimenti: gli investitori guardano ai rendimenti reali come al nuovo mantra di questo decennio. La costruzione del portafoglio che ha come obiettivo i rendimenti reali invece di quelli nominali dovrebbe includere le attività reali e alternative, le azioni con dividendi elevati e strategie del reddito fisso flessibili in grado di adeguarsi ai tassi di interesse più alti.

Dopo un decennio in cui le banche centrali hanno faticosamente cercato di portare l’inflazione all’obiettivo, questi primi mesi del 2022 sono stati caratterizzati ovunque da un cambiamento del contesto inflazionistico. Negli Stati Uniti l’inflazione è ai massimi degli ultimi 40 anni, e in alcuni Paesi sviluppati è poco distante da tali valori. L’inflazione annuale nella zona Euro ha raggiunto a marzo il 7,5%, in rialzo dal 5,9% di febbraio e dal 5,1% dell’inizio dell’anno. Alla fine di marzo, l’IPC medio nei Paesi sviluppati era del 5,6% su anno, mentre nei Paesi emergenti era del 7,2%, e ciò indica l’inizio di una nuova era inflazionistica. In questo contesto, il mercato cerca di scoprire i meccanismi psicologici che supportano l’inflazione e che assicurano che le sue profezie autoavveranti si realizzino perché l’aspettativa di un aumento dei prezzi in futuro rafforza la narrativa inflazionistica.

In che modo la psicologia influisce sull’inflazione? L’inflazione è sempre un fenomeno monetario o ha una componente psicologica?
L’inflazione e la psicologia sono interconnesse dal tempo psicologico, motivo per cui il tempo vola durante i periodi d’inflazione. Ad esempio, un’ora in un periodo di tempo normale, non inflazionistico, corrisponde a un giorno in un periodo di iperinflazione o di bolle dei prezzi delle attività. Nei miei libri ho introdotto l’importante concetto di “referente psicologico”, dove sono in gioco potenti forze di memoria e di dimenticanza. La mia tesi è che l’aumento dei prezzi, seppur necessario, non sia sufficiente a far scattare l’inflazione. Deve avvenire contestualmente a un cambiamento del riferimento psicologico.

Quand’è che l’inflazione cessa di essere un fenomeno solo economico e diventa un fenomeno psicologico, e quali sono i segnali di allarme? La transizione avviene gradualmente o c’è un punto critico?
L’inflazione è un fenomeno cumulativo. Una volta che prende piede è difficile da sradicare. Le narrative svolgono un ruolo importante nel diffondere l’inflazione esponenzialmente come accade con i virus, trasformandola in un fenomeno di massa con circuiti di retroazione e profezie autoavveranti. L’intelligenza artificiale ci ha fornito gli strumenti per analizzare queste narrative: la narrativa dell’inflazione ha preso piede soppiantando la narrativa della stagnazione secolare. Questo processo, secondo me, ha un ruolo determinante riguardo al modo in cui si formano le aspettative. L’accumulo dei dati (prezzi in aumento) forma una memoria a breve termine che stabilisce un legame con una memoria a lungo termine (gli anni ‘70). Di conseguenza si passa da una situazione latente a un’accelerazione esponenziale. I segnali di una maturazione del processo comprendono le trattative salariali e, più in generale, le forze che accumulano una quota diversa di valore aggiunto tra capitale e lavoro. Questo è un aspetto di ciò che io chiamo cambio di regime. Attraverso un processo di accelerazione che è esponenziale e autosostenuto, l’inflazione esiste nel momento stesso in cui la gente dice che c’è.

Che cosa succede se le aspettative d’inflazione diventano “disancorate” e in che modo riconosciamo una tale situazione?
Il disancoraggio è la perdita della credibilità delle banche centrali e la perdita di controllo della curva dei rendimenti. Può presentarsi come un improvviso aumento dei tassi a lungo termine e dei parametri dell’inflazione a lungo termine basati sul mercato (tasso swap di inflazione a cinque anni, tassi di inflazione di pareggio a dieci anni). Tuttavia, io nutro dei dubbi riguardo a questi parametri che possono essere stati distorti dall’allentamento quantitativo (QE). I sondaggi come quelli condotti dall’Università del Michigan sono più affidabili. Il DNA delle banche centrali è cambiato: esse opteranno per un disinteresse benevolo per diversi motivi, come l’asimmetria tra crescita e inflazione, la dominanza fiscale e il quadro di repressione finanziaria dei tassi reali negativi. Le banche centrali sono parecchio in
ritardo e di certo non riusciranno a colmare il divario. A un certo punto qualcosa dovrà essere concesso.

Qual è la sua opinione sull’attuale dinamica dell’inflazione e in che modo sta reagendo il pubblico?
Inizialmente ha ignorato o negato questo fenomeno, poi ha reagito con sorpresa, infine ne ha preso atto. Ora stiamo per avvicinarci al livello successivo, quello della paura. Un processo d’inflazione, soprattutto quando inizia dal nulla perché se ne è dimenticata a livello profondo l’esistenza, è un processo di scoperta e un prezzo per i mercati. La maggior parte delle persone coinvolte nella vita economica non sa cosa sia l’inflazione e non ha mai sperimentato un periodo prolungato di aumenti dei prezzi e dei tassi di interesse. Questo è un processo di risveglio della memoria e di aspettative adattive. Man mano che ogni mese vengono diffusi dati sempre più alti sull’inflazione, si ricrea progressivamente una memoria a breve che evoca riferimenti di lungo periodo relativi agli anni ‘70 o alla stagflazione. I circuiti si propagano man mano che le persone ne parlano, reagiscono e cercano di adeguarsi. In aree non interessate dalle strozzature della filiera di approvvigionamento o dal rincaro dei prezzi dell’energia abbiamo assistito a un aumento dell’inflazione dovuto semplicemente al contagio virale dei discorsi, delle narrative e delle storie in televisione. La diffusione delle narrative attraverso i media (un fenomeno autoavverante) ha creato ansia e paura. Com’è tipico di tutte le sequenze inflazionistiche iniziali, i timori sociali e politici sono cresciuti rapidamente perché l’inflazione colpisce dapprima i più poveri, aggravando e rivelando divisioni sociali preesistenti.

Cosa possono fare i policy maker per tenere sotto controllo l’aspetto psicologico dell’inflazione?
Le pressioni sui policy maker si sono intensificate, basti pensare a Biden o persino a Lagarde. La prima reazione è la domanda di misure protettive e compensative a livello di bilancio attraverso svariati canali come il blocco dei prezzi, sussidi e trasferimenti fiscali. L’inflazione non comporta una riduzione delle misure fiscali accomodanti bensì il contrario, e ciò contribuisce a sua volta ad alimentare la dinamica dell’inflazione sia attraverso i canali reali, sia attraverso quelli psicologici. Pubblicizzando la presenza dell’inflazione attraverso misure come “l’indennità di inflazione”, l’esistenza di una minaccia viene riconosciuta e quindi accelerata. L’inflazione è un fenomeno autopropulsivo. Un altro aspetto di cui tener conto è che la politica monetaria viene sempre criticata perché rimane indietro. I decisori politici si trovano di fronte a dilemmi e trade-off del tipo “combattere l’inflazione col rischio di uccidere la domanda, il settore immobiliare e la crescita.” Alzare i tassi di interesse come risposta ai problemi dell’offerta non aiuta l’inflazione e al contempo penalizza la domanda. Un ultimo aspetto da considerare è quello dell’economia geopolitica. I problemi energetici hanno acceso dibattiti e innescato interventi sulla sicurezza e sulla sovranità. Molti governi sono stati accusati di ingenuità e di mancanza di visione politica e stanno ora correndo ai ripari.

Quale ruolo svolgono i media?
Come ho già spiegato, i media costituiscono un elemento cruciale delle narrative finanziarie ed economiche. Robert Shiller sostiene che l’economia e i mercati in particolare sono fatti di parole, discorsi, immagini e battaglie di narrative. Il prezzo di equilibrio relativo viene raggiunto quando si vince temporaneamente una battaglia. Per disporre di una descrizione più realistica di ciò che osserviamo, dobbiamo includere le narrative in ciò che noi chiamiamo “i fondamentali”. I media fungono da acceleratori del “virus” perché di solito presentano l’aspetto più drammaticamente preoccupante delle cose, in questo caso dell’inflazione.

Quanto è importante la memoria collettiva dei periodi inflazionistici passati per valutare correttamente quello attuale?
La memoria collettiva è fondamentale. I fenomeni economici e finanziari non possono essere capiti senza integrare un riferimento psicologico strutturato per durata, memoria e dimenticanza (ad es. tempo psicologico). Le persone formano le aspettative (ovvero le previsioni sul futuro) nello stesso modo in cui ricordano e dimenticano. Ciò è vero sul piano individuale e collettivo. Io ho spiegato che esiste una memoria collettiva fatta di memorie a breve e a lungo termine, strutturate attorno a grandi narrazioni chiave che corrispondono più o meno alla realtà e che sono permeate da un coefficiente di dimenticanza. Più gli episodi risalgono al passato e maggiore è questo coefficiente, ma se ci sono scarti improvvisi, non lineari, un evento a breve termine può riaccendere una memoria a lungo termine. Nell’aprile 2019 ho scritto un articolo: “Ritorno al regime degli anni ‘70”, in cui sostenevo che si stava profilando all’orizzonte un cambio di regime ed evidenziavo i punti comuni tra quel periodo e oggi. Con ciò non intendo dire che la storia si ripete e che i fenomeni sono gli stessi, bensì che la psicologia delle persone è relativamente costante. Le persone reagiscono a eventi comparabili perlopiù nello stesso modo, e uno dei motivi cruciali sta nel fatto che il loro riferimento è costituito da una memoria profonda, non sempre consapevole, di alcuni eventi importanti perché gli eventi collettivi formano una dimensione inconscia. Si pensi all’iperinflazione in Germania, agli anni ‘70, ai ruggenti anni ‘20 o all’influenza spagnola in relazione alla crisi causata dal Covid. Questi meccanismi sono validi per le persone e per gli investitori. Questi ultimi puntano ora su una costruzione del portafoglio mirante a conseguire rendimenti reali invece di rendimenti nominali. Gli attivi reali e alternativi, le azioni con dividendi elevati e le strategie flessibili del reddito fisso beneficeranno dell’aumento dei tassi di interesse e saranno molto più ambiti dagli investitori alla ricerca di rendimenti reali, il loro nuovo mantra.