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Fed: “Mantenere la rotta fino a quando il lavoro non sarà finito”… …ma con gradualità

La riunione dell’ultimo FOMC del 2022 si è conclusa con una decisione di rialzo dei tassi in linea con le attese: il tasso sui Fed Funds è stato
alzato di 50pb al 4,5%, confermando di fatto il passaggio ad un ritmo di inasprimento più graduale, già annunciato a novembre.
• Sebbene il comunicato stampa che ha annunciato la decisione sia rimasto praticamente invariato rispetto a novembre, e la comunicazione
della Fed, nel complesso, ha mantenuto un’intonazione hawkish, mirata a controbilanciare il messaggio implicitamente dovish associato al rallentamento del ritmo dei rialzi: non conta più la velocità dei rialzi, quanto il punto di arrivo e la durata della restrizione.
• Rappresentano un messaggio aggressivo le proiezioni dei membri della Fed sul potenziale livello di picco dei tassi («Dots») che si sono mosse verso l’alto, con un punto di arrivo tra il 5%-5,25% nel 2023. La mediana sui tassi anticipa un possibile picco a 5,1% nel 2023 e una svolta nel 2024.
• Sono emerse implicazioni complessivamente hawkish anche dall’aggiornamento dello scenario macroeconomico previsivo, che è stato modificato in relazione a tutte le variabili oggetto di analisi.
• Se da un lato le proiezioni economiche del FOMC prevedano una crescita di appena lo 0,5% alla fine del 2023 (1,2% le previsioni di settembre), il tasso di disoccupazione è visto aumentare meno di un punto percentuale, dall’attuale 3,7%, al 4,6% il prossimo anno. Come ha ribadito il presidente Powell durante la sessione di domande e risposte, l’eccesso di posizioni aperte sul mercato del lavoro deriva da una significativa carenza di competenze/manodopera qualificata. Pertanto, anche a fronte di una notevole decelerazione delle attività, le imprese sarebbero riluttanti, secondo il FOMC, a licenziare i lavoratori che hanno impiegato così tanto tempo ad assumere.

• Il riequilibrio del mercato del lavoro potrebbe dunque richiedere solo un modesto aumento della disoccupazione, pertanto è ancora possibile che
si verifichi un soft landing.
• Un altro messaggio hawkish è emerso dalle previsioni di inflazione (PCE e PCE Core) che, in maniera apparentemente controintuitiva rispetto alle evidenze di calmieramento dei prezzi emerse dagli ultimi dati di CPI, sono risultate più alte rispetto a quelle diffuse a settembre.

• Pur commentando con favore i segnali di raffreddamento dell’inflazione negli ultimi rapporti CPI, che hanno incontrato le attese del FOMC,
Powell ha esortato a non lasciarsi trasportare. L’inflazione dei beni sta calando bruscamente e una più marcata moderazione della componente alloggi dovrebbe manifestarsi ad un certo punto nel 1H2023, tuttavia l’inflazione nei servizi core non abitativi rimane elevata e non mostra al momento segnali di discesa. Sono settori ad alta intensità di manodopera e quindi una crescita salariale più lenta è fondamentale per un più veloce rientro dell’inflazione.
• A tal proposito, Powell ha ribadito che è necessaria un’ “evidenza significativamente maggiore per essere convinti che l’inflazione sia su un sentiero duraturo verso il basso”. Pertanto, la Fed ha ancora “lavoro da fare” e “manterrà la rotta fino a quando il lavoro sarà finito”.

Powell non ha fornito dettagli su come potrebbe essere distribuito l’aumento di 75 punti base necessario per portare i Fed Funds al livello preannunciato dai Dots. Il messaggio che i dati consentono un ritmo di aumento più moderato e che ciò che conta per combattere l’inflazione non è più la velocità della stretta, ma il livello massimo per quanto tempo verrà mantenuto potrebbero supportare l’ipotesi di 3 rialzi da 25 punti base.
• I tagli dei tassi nel 2023 non sono visti come una possibilità in questo momento: i membri del FOMC hanno bisogno di prove molto forti che l’inflazione sia su una convincente tendenza al ribasso prima di allentare la stretta.
• Nonostante gli operatori avessero scommesso su una comunicazione più dovish di quella che è stata utilizzata, le attese sul sentiero dei tassi implicite nei futures sui Fed Funds non sono cambiate in maniera significativa.

Come da attese, la BCE ha alzato i tassi di interesse di 50 punti base durante la sua ultima riunione di politica monetaria del 2022, rallentando
nel ritmo di inasprimento delle condizioni finanziarie, precedentemente scandito da due consecutivi rialzi da 75 punti base.
• La decisione ha portato i tassi sui depositi presso la banca centrale al 2%, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali al 2,5% e quelli sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 2,75%, un livello che non si vedeva da quattordici anni.
• La novità emersa dall’incontro odierno ha riguardato l’inizio del Quatitative Tightening, attraverso la riduzione delle consistenze in titoli detenute dall’Eurosistema in ambito APP. Tale ammontare sarà ridotto ad un ritmo misurato e prevedibile, in quanto l’Eurosistema reinvestirà solo in parte il capitale rimborsato sui titoli in scadenza, ad un ritmo, in media, di EUR 15 miliardi al mese da marzo 2023 sino alla fine del 2Q2023, per essere successivamente rideterminato.
• I toni emersi dallo statement e dalle parole di Christine Lagarde alla conferenza stampa che ha seguito l’annuncio sono apparsi più hawkish delle attese: la BCE ha rallentato nel ritmo di inasprimento delle condizioni finanziarie ma è determinata a procedere in direzione restrittiva ancora a lungo.
• Il Consiglio Direttivo ha annunciato che i tassi potrebbero ulteriormente aumentare in maniera significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da domare un’inflazione che potrebbe dimostrarsi ancora troppo elevata a lungo. Le previsioni sull’inflazione sono infatti state riviste in maniera consistente al rialzo, con
un’inflazione media che dovrebbe raggiungere l’8,4% nel 2022 (stima di settembre 8,1%) prima di scendere al 6,3% nel 2023 (a settembre la stima era per il 5,5%). L’inflazione dovrebbe quindi raggiungere una media del 3,4% nel 2024 (a settembre, 2,3%) e del 2,3% nel 2025.

LA REAZIONE DEI MERCATI OBBLIGAZIONARI
• Durante la sessione di ieri i Treasuries non hanno risposto in modo significativo al messaggio “più in alto più a lungo” del presidente della Fed Jerome Powell. Ieri il rendimento del Treasury decennale è rimasto in area 3,50%, mentre il rendimento a 2 anni è salito di circa 7pb, al 4,25%, per poi chiudere a 4,21%, sostanzialmente invariato. In leggero aumenti i rendimenti nella parte breve della curva nella seduta odierna.
• Dopo l’annuncio del rialzo dei tassi da parte della BCE il rendimento del 2 anni tedesco è salito di oltre 21pb attestandosi al 2,33% mentre il decennale è salito di circa 13pb attestandosi al 2,07%.
• I rendimenti dei mercati obbligazionari hanno ormai raggiunto livelli particolarmente interessanti. Permangono tuttavia rischi che le politiche monetarie delle banche centrali possano rivelarsi più restrittive di quanto al momento atteso dai mercati finanziari. Per converso il significativo rallentamento economico che dovrebbe registrarsi nei prossimi mesi, ormai stimato sia da Fed che da BCE, potrebbe rendere meno aggressivo il programma di rialzo dei tassi di quanto comunicato.

LA REAZIONE DEI MERCATI AZIONARI
• I mercati azionari hanno reagito negativamente agli annunci sia della Fed sia della BCE. A sorprendere è stata soprattutto l’indicazione di un ulteriore restringimento dell’orientamento di politica monetaria nonostante i segnali di miglioramento delle prospettive dell’inflazione arrivate dagli ultimi dati mensili.
• In particolare, è stata la decisione della Fed di alzare la proiezione sull’andamento dei tassi sui Fed Fund nel 2023, rivista in aumento rispetto alla stima di settembre, a sorprendere negativamente gli investitori. In tale scenario potrebbe crescere la cautela sull’equity statunitense, che potrebbe fare i conti con uno scenario economico in rallentamento e con tassi di interesse più elevati.
• In Europa, l’annuncio dell’inizio di una politica di Quantitative Tightening potrebbe aumentare la volatilità nel breve. Tuttavia, il calo delle pressioni inflazionistiche e un livello valutativo contenuto e inferiore alla media storica di lungo periodo fa sì che ogni calo del mercato azionario europeo possa essere considerato positivamente dagli investitori.

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INFLAZIONE EUROZONA NOVEMBRE 2022

INFLAZIONE EUROZONA NOVEMBRE 2022
LA REAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI E LE IMPLICAZIONI DI ASSET ALLOCATION

Secondo le stime preliminari diffuse questa mattina da Eurostat, il tasso di inflazione headline in Eurozona a novembre è sceso al 10% su base annua, dopo aver registrato un massimo record del 10,6% ad ottobre.
• Il dato si è dimostrato inferiore alle attese di consensus, che stimavano un minor calo delle pressioni inflattive al 10,4% a/a.
• Il tasso di inflazione core annuo, al netto di energia, cibo, alcol e tabacco, è rimasto tuttavia invariato rispetto ad ottobre al 5% a/a, in linea con le attese di consensus.
• Anche la dinamica mensile ha mostrato un rallentamento oltre le attese (0,2% m/m), con una variazione congiunturale negativa dell’inflazione headline del -0,1% m/m dopo l’accelerazione dell’1,5% m/m di ottobre.
• L’inflazione ha mostrato dunque un ridimensionamento per la prima volta dal giugno del 2021, il che potrebbe offrire alcuni primi segnali che le pressioni sui prezzi abbiano raggiunto il picco, offrendo margine alla BCE per proseguire nel rialzo dei tassi di riferimento in maniera più graduale.
• Tuttavia, il tasso di inflazione rimane su livelli record, 5 volte superiori all’obiettivo della BCE del 2%. In un recente intervento al Parlamento Europeo, la Presidente Christine Lagarde ha affermato che l’inflazione in Eurozona potrebbe non aver ancora raggiunto il picco, sottolineando i crescenti rischi che le pressioni sui prezzi possano aumentare più del previsto.
• La pubblicazione del dato di inflazione non ha generato alcuna modifica sulle aspettative di rialzo dei tassi di riferimento da parte della BCE alla riunione del 15 dicembre.
• Al momento il mercato prezza come certo un aumento dei tassi da 50 punti base. All’eventualità di un maggior incremento da 75 punti base è attribuita una probabilità relativamente contenuta.

LA REAZIONE DEI MERCATI OBBLIGAZIONARI
• I mercati obbligazionari hanno reagito al dato sull’inflazione con una relativa indifferenza.
• Sebbene il dato potesse costituire un ulteriore spunto per la BCE per ammorbidire la dinamica prospettica di aumento dei tassi di interesse, l’immediata reazione dei rendimenti Bund sia a 2 che a 10 anni è stata di rialzo, seppur contenuto (5 punti base su entrambe le scadenze). Successivamente, tale movimento è rientrato, riportando (al momento in cui si scrive) tali rendimenti sui livelli di apertura di seduta.
• La reazione del mercato indicherebbe che per giustificare una compressione dei rendimenti sia necessario che si sviluppi un trend di contrazione dell’inflazione più convincente e duraturo. Si conferma pertanto l’attuale posizionamento neutrale sul comparto obbligazionario governativo dell’Eurozona

LA REAZIONE DEI MERCATI AZIONARI
• La dinamica migliore delle attese dell’inflazione dell’Eurozona nel mese di novembre è un elemento positivo per il mercato azionario.
• Una discesa sostenuta dell’inflazione nei prossimi mesi renderebbe possibile un’espansione del P/e. Il P/e forward si trova su valori inferiori alla media di lungo periodo, lasciando intravvedere un margine di apprezzamento.
• Il calo della crescita dei prezzi al consumo, inoltre, potrebbespingere la BCE ad alzare i tassi in maniera più graduale.
• Il maggiore elemento di incertezza per il mercato azionario dell’Eurozona sono ora le prospettive di crescita economica nel 2023. Qualora queste fossero più deboli di quanto anticipato dal consensus degli economisti (-0,1% il Pil del 2023 sulla base della stima di consensus), come gli ultimi indicatori anticipatori – quali i PMI e l’andamento della massa monetaria – fanno intravvedere, ci potrebbe essere una forte revisione al ribasso delle stime sull’EPS per il 2023, con un impatto negativo sulle quotazioni. L’attuale stima sull’EPS del MSCI Europe nel 2023 è dell’1,2%, contro il +7% stimato a inizio anno.
• In tale scenario, e con le tensioni geopolitiche con i suoi riflessi sull’andamento delle quotazioni di petrolio e gas che potrebbero avere smesso di pesare sui mercati solo in maniera temporanea, si mantiene una posizione di sottopeso sull’azionario Europeo, in attesa di indicazioni di un possibile inversione del trend di rallentamento della crescita economica.