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Il dato di inflazione statunitense relativo al mese di marzo ha fornito segnali in linea con il prosieguo del calmieramento del processo di disinflazione in atto, supportando maggiormente l’ipotesi che la Federal Reserve possa essere davvero prossima al raggiungimento del picco dei rialzi dei tassi di interesse.
• L’inflazione negli Stati Uniti è cresciuta a marzo al ritmo del 5,0% a/a, mostrando un calo significativo dal livello del 6,0% a/a registrato a febbraio e rallentando leggermente oltre le attese, che vedevano un calmieramento della crescita dei prezzi al ritmo del 5,1% a/a.
• A contribuire al calo dell’inflazione è stata soprattutto la componente energia, che ha beneficiato di un effetto base favorevole, dato che i prezzi energetici si sono ampiamente ridotti rispetto ai livelli raggiunti un anno fa dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino.
• È rimasta invece sostenuta, seppur in lieve calo, la dinamica di crescita dei prezzi dei servizi ex energia, aumentati al ritmo del 7,1% a/a dopo il 7,3% di febbraio. Tale dinamica ha determinato, in controtendenza ma come da attese, una lieve riacelerazione nell’andamento tendenziale dei prezzi core.
L’inflazione di fondo (al netto di alimentari ed energia) è cresciuta infatti al ritmo del 5,6% su base annua, in lieve rialzo dal 5,5% a/a di febbraio, un ritmo superiore a quello di crescita della misura headline per la prima volta dal gennaio 2021.
• I dati mensili hanno mostrato una decelerazione del ritmo di crescita congiunturale sia della misura headline che core dell’inflazione, la prima cresciuta solo dello 0,1% m/m (meno delle attese, 0,2%) dopo la variazione dello 0,4% m/m di febbraio, e la seconda dello 0,4% (come da attese) dallo 0,5% precedente.
• A confermare la dinamica disinflattiva in atto sono giunti anche i dati relativi alla crescita dei salari orari reali, che si sono ridotti dello 0,7% a/a, ad un ritmo, tuttavia, inferiore alle attese che prevedevano una riduzione del -1,3% a/a

LA REAZIONE DEI MERCATI OBBLIGAZIONARI
• A seguito della pubblicazione del dato relativo al CPI USA, i mercati obbligazionari hanno reagito in modo deciso: si è assistito ad una diminuzione dei rendimenti sui Treasury a 2 anni e 10 anni attorno ai 10bps, con una riduzione leggermente più marcata sulle scadenze più
brevi.
• Leggero calo per le aspettative relative al prossimo rialzo dei tassi da parte della Fed, che prezzano ora con una probabilità del 70% un rialzo di 25bps a maggio rispetto al 75% scontato fino a ieri. Il mercato si attende il picco dei tassi a giugno, con un terminal rate al 5%.
• Alla luce dell’aggiornamento sull’andamento dell’inflazione, si conferma il posizionamento di sovrappeso sul comparto obbligazionario governativo statunitense nell’ambito di un approccio molto positivo sull’asset class obbligazionaria.

LA REAZIONE DEI MERCATI AZIONARI
• I dati CPI USA di marzo, in particolare la discesa superiore alle attese del dato headline, hanno avuto un impatto positivo sui mercato azionario.
La possibilità che l’inflazione possa scendere ad un ritmo più veloce del previsto potrebbe infatti favorire le società quotate. In primo luogo, potrebbe spingere la Fed ad avere un orientamento di politica monetaria meno restrittivo, con conseguente aumento della liquidità e contemporanea riduzione dei tassi a cui vengono scontati i flussi di cassa futuri. In secondo luogo, potrebbe impattare positivamente sui margini di profitto, riducendo le pressioni dal lato dei costi a fronte di prezzi di vendita ancora sostenuti dalla tenuta della domanda.
• Le prospettive dei profitti aziendali nei prossimi mesi rimangono, tuttavia, molto incerte. L’inizio della stagione delle trimestrali di Q1 ’23 in calendario venerdì 14 con la pubblicazione dei dati di alcune tra le principali banche del paese (JP Morgan, Citigroup e Wells Fargo) fornirà maggiori indicazioni, ma gli analisti sono ormai diventati scettici per i timori di un rallentamento dell’economia. Per Q1 gli analisti si attendono una contrazione dell’EPS del 6,8% contro -0,3% stimato il 31 dicembre 2022. Per l’intero 2023 le stime sono per una crescita dell’1,2% contro il +4,5% pronosticato alla fine dello scorso anno. Le stime annue presuppongono tuttavia un netto miglioramento della redditività aziendale nella seconda parte dell’anno, scenario che contrasta con le attese di rallentamento della crescita economica . Questa divergenza aumenta il rischio di ulteriori revisioni al ribasso degli utili attesi nei prossimi mesi.
• Nel breve, quindi, gli investitori potrebbero restare cauti sull’azionario, nell’eventualità di una revisione al ribasso degli utili a fronte di quotazioni ancora elevate: il P/e forward dello S&P500 è a 18x, contro una media degli ultimi 10 anni di 17,3x. Si mantiene, quindi, un orientamento di leggero sottopeso sull’azionario statunitense in un contesto di neutralità sull’asset class azionaria.

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