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Tre strategie per battere l’inflazione con le obbligazioni

Nel 2021 il tema dominante sui mercati finanziari è stata l’inflazione ed è probabile che anche nel 2022 sarà un fattore decisivo e trainante dei rendimenti.

Nella sua analisi annuale delle prospettive di investimento per 46 delle banche d’investimento e società di gestione patrimoniale più importanti al mondo, Bloomberg News ha scoperto che la parola inflazione è apparsa 224 volte. Il termine COVID solo 36 volte. Lo studio ha concluso che per il 2022 “l’aumento dei prezzi incombe su quasi tutti gli scenari previsti” dagli strategist.

Nel 2021 a dominare i mercati è stato il dibattito sul carattere “transitorio” o meno dell’inflazione al riemergere delle economie globali dalle chiusure indotte dalla pandemia di COVID-19 del 2020, ma a fine anno i dati sembravano aver messo fine alla discussione. A novembre, l’inflazione dei prezzi al consumo (IPC) negli Stati Uniti ha raggiunto il 6,8%, ovvero il settimo valore mensile consecutivo superiore al 5%, mentre il dato dell’IPC del Regno Unito ha registrato un massimo decennale al 5,1% e l’IPC tedesco è salito al 5,2%, il livello più alto dal 1992.

La famosa massima secondo cui “l’inflazione non fa bene alle obbligazioni” si basa in parte sul fatto che l’inflazione erode il valore delle cedole e del capitale che gli obbligazionisti a tasso fisso riceveranno in futuro. Dal punto di vista della gestione del portafoglio, la sfida più rilevante posta dall’aumento dell’inflazione consiste nei rialzi dei tassi di interesse che tende a provocare, con implicazioni un po’ ovunque, dai Treasury USA alle obbligazioni high yield e dei mercati emergenti.

È indubbiamente vero che l’inflazione è negativa per alcune obbligazioni. Tuttavia, per i gestori attivi di fondi obbligazionari con un mercato obbligazionario globale da cui attingere superiore a 120.000 miliardi di dollari, esistono alcune tattiche che, a nostro avviso, possono contribuire a mitigare gli effetti dell’inflazione, e al momento osserviamo una serie di opportunità che gli investitori possono sfruttare per guadagnare in questo contesto.

1.    Mantenere bassa la duration

Per quanto riguarda il reddito fisso, il principale fattore di ansia in merito all’inflazione consiste nel fatto che solitamente comporta perdite nei mercati dei tassi quali i Treasury USA, che a loro volta possono provocare perdite sui prodotti creditizi qualora lo spread sia troppo basso per assorbire la debolezza dei tassi.

Agli investitori è stato bruscamente ricordato questo rischio nella primissima settimana del 2022, quando i rendimenti dei decennali USA sono schizzati al massimo degli ultimi nove mesi, ovvero all’1,73%, dopo che i verbali della riunione di dicembre della Fed hanno suggerito che i rialzi dei tassi potrebbero arrivare prima di quanto scontato dai mercati. Dal nostro punto di vista, questa situazione comincia appena a delinearsi: con la disoccupazione statunitense scesa al 3,9% nel mese di dicembre e l’inflazione ai massimi degli ultimi 40 anni, le condizioni per una stretta da parte della Fed sono state chiaramente soddisfatte e la banca centrale è prossima a questa decisione.

Pertanto, la nostra prima strategia per superare l’inflazione con le obbligazioni consiste nel mantenere bassa la duration. Questo risultato può essere ottenuto in parte attraverso la costruzione del portafoglio, evitando del tutto i titoli di Stato a lunga scadenza e detenendo tassi a breve scadenza solo per scopi di liquidità, ad esempio, ma con la nostra convinzione in merito alle crescenti curve dei rendimenti riteniamo che abbia senso la copertura dell’esposizione ai tassi mediante uno swap sui tassi d’interesse, se del caso, dato il costo relativamente basso. La nostra curva di copertura preferita è la sterlina britannica, visti i bassi costi di carry e poiché prevediamo che i rendimenti dei Gilt a 10 anni raggiungeranno l’1,40% entro la fine dell’anno. La curva in euro rappresenta un’alternativa valida, ma a nostro avviso non così convincente.

2.    Considerare le obbligazioni a tasso variabile

Per gli investitori obbligazionari a lungo termine non esiste una copertura perfetta contro l’inflazione, poiché è impossibile rimuovere completamente da un portafoglio il rischio di duration (ovvero se si vogliono ancora detenere asset in grado di generare rendimenti). I titoli di Stato indicizzati all’inflazione quali i TIPS statunitensi non sono così efficaci come si potrebbe pensare, e mentre gli swap tattici sui tassi d’interesse, come menzionato sopra, sono in grado di offrire una certa protezione dall’aumento delle curve dei rendimenti, dovrebbero essere dimensionati con cura perché possono trasformarsi rapidamente nella posizione dominante di un portafoglio.

Pertanto, la nostra seconda strategia consiste nel prendere in considerazione le obbligazioni a tasso variabile, che non incrementano il rischio di tasso di interesse di un portafoglio poiché le loro cedole aumentano in linea con gli aumenti dei tassi di riferimento. I leveraged loan dovrebbero trarne un buon sostegno, così come tutto il mercato europeo dei titoli asset-backed (ABS). Per gli investitori che intendono trarre vantaggio da entrambi questi settori, le CLO (collateralised loan obligation) europee rappresentano una delle nostre scelte più azzeccate per il 2022, ed è probabile che i risultati migliori si trovino più in basso nello spettro dei rating. A nostro avviso, quest’anno le CLO europee con rating BB potranno registrare un rendimento pari a circa il 7%, grazie soprattutto all’elevato carry offerto.

3.    Concentrarsi sul rendimento e sul roll-down

La strategia numero tre consiste nel concentrarsi sul rendimento e sul roll-down. Il rendimento può essere una delle nostre armi più efficaci contro l’inflazione, poiché consente di proteggere un portafoglio dagli effetti corrosivi dell’aumento dei tassi, mentre il roll-down, ovvero la naturale compressione degli spread che si verifica con l’avvicinarsi della scadenza delle obbligazioni, è in grado di mitigare significativamente il rischio di duration di un portafoglio.

È ben documentato che l’implacabile rally degli asset rischiosi, in genere dal picco della crisi dovuta al COVID-19 circa 18 mesi fa, ha portato i rendimenti, in molti settori del reddito fisso, a sembrare costosi rispetto ai prezzi storici, ma grazie a fondamentali del credito estremamente solidi riteniamo che questo sia giustificato e osserviamo ancora sacche di valore a cui puntare.

Il debito bancario subordinato, in particolare l’Additional Tier 1 (AT1) emesso dalle banche europee, è un’altra delle nostre scelte migliori per il 2022. Tradizionalmente le banche sono più immuni dall’inflazione rispetto ad altri settori, e tendono a beneficiare dell’aumento dei tassi di interesse. Inoltre, durante la crisi del 2020, il settore si è dimostrato resiliente e le banche hanno preservato o persino aumentato le loro basi di capitale nonostante le difficili condizioni economiche. Attualmente, a nostro avviso, esistono molti istituti ben capitalizzati con obbligazioni AT1 che offrono rendimenti solidi. Attualmente, esistono molti istituti ben capitalizzati con obbligazioni AT1 che offrono quelli che riteniamo rendimenti solidi. Ad esempio, se arrivassero sul mercato in questo momento, prevediamo che un’operazione su AT1 con rating BBB e call a cinque anni da parte di una banca con rating A possa registrare un rendimento prossimo al 5%.

Riteniamo inoltre che quest’anno le obbligazioni corporate dei mercati emergenti in valuta forte siano in grado di sovraperformare in misura significativa, poiché si prevede che crescita e utili raggiungano quelli dei mercati sviluppati. Tuttavia, è necessario ricordare che questa opportunità potrebbe evaporare rapidamente se la Fed dovesse intraprendere un ciclo di inasprimento più aggressivo di quanto comunicato. Nelle nostre prospettive annuali avevamo dichiarato che non si trattava di un’operazione del primo trimestre, e la reazione del mercato ai verbali della Fed ha forse già convalidato questa opinione. Tuttavia, con l’indice obbligazionario high yield dei ME che registra un rendimento del 7,4%2, intravediamo delle opportunità per gli investitori pazienti e con il giusto tempismo.

Per quanto riguarda il roll-down, si tratta di una tattica difensiva da sfruttarsi al meglio, a nostro avviso, quando i mercati vengono valutati in maniera corretta, in genere a metà o fine ciclo. All’inizio di un ciclo economico, quando la maggior parte degli asset sembra conveniente rispetto alle medie storiche, normalmente punteremmo a obbligazioni a lunga scadenza per realizzare rendimenti più elevati più a lungo. Tuttavia, al momento il credito sembra trovarsi a metà ciclo e negli ultimi 18 mesi le relative curve si sono appiattite sul tratto a lungo termine. Con l’avvicinarsi della fase successiva di questo ciclo in rapida progressione, osserviamo l’irripidimento del tratto a breve poiché i rialzi dei tassi vengono scontati, e ci aspettiamo pertanto che le obbligazioni a breve scadenza (soprattutto quelle nella fascia da tre a cinque anni) offrano agli investitori il massimo in termini di plusvalenze da roll-down. Tuttavia, è importante ricordare che puntare al roll-down sul tratto a breve della curva risulta davvero efficace solo se si acquistano obbligazioni con spread sufficiente ad assorbire gli aumenti dei tassi previsti.

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I Gremlins della volatilità e gli Unicorni della “pianificazione finanziaria”​. Parte 1/2

In un precedente articolo (https://www.linkedin.com/post/edit/6775077526487257089/) ho provato a fare chiarezza nella diatriba “gestione passiva-gestione attiva”, te ne consiglio la lettura prima di procedere.

In questo articolo provo ad introdurre altri concetti incredibilmente trascurati dalla consulenza finanziaria…al termine della lettura, ne sono convinto, diventerai un investitore ancora più consapevole perché scoprirai che negli investimenti conta non solo la destinazione ma soprattutto il viaggio (ed i compagni di viaggio).

Facciamo un semplice esempio: un ipotetico investimento ha reso il +4% il primo anno, il -14% il secondo anno ed il +22% il terzo anno. Il rendimento medio di questo investimento è quindi il 4% (la somma dei tre rendimenti diviso 3). Se teniamo conto del solo dato “rendimento medio 4%” un ipotetico investimento di 1000€ all’inizio del primo anno, per tre anni e con un rendimento medio del 4%, diventerebbe 1125€. Proviamo ora a fare il calcolo in maniera più precisa, questa volta con i tuoi 1000€ investiti e rispettando la sequenza dei rendimenti +4%, -14%, +22% il risultato ora è 1091€.

Cosa è successo? Hai appena fatto la conoscenza dei Gremlins della volatilità che si sono presi ben 34€ dal tuo investimento. “Gremlins della volatilità” è un termine coniato da Ed Easterling delle Crestmond Research. Rende bene l’idea perché questi mostriciattoli sono percepiti come fastidiosi ma non particolarmente pericolosi; possono nasconderti le chiavi dell’auto o rubarti qualcosa dal frigo. Il problema è che questo tipo di scherzetti li fanno anche ai portafogli investimenti ogni volta che senti in tv che “i mercati sono saliti mediamente dell’7% all’anno” ma poi devi constatare che i tuoi investimenti, in realtà, sono saliti del 4% all’anno. I Gremlins entreranno in azione, puoi starne certo, ogni volta che farai un investimento solo perché ti è stato detto che “fino ad ora ha reso in media l’8% all’anno”.

In altre parole questi fastidiosi compagni di viaggio dei tuoi investimenti ti ingannano facendoti credere che il rendimento medio ed il tasso annuo di crescita composto siano la stessa cosa.

Non introdurrò formule e matematica (troverai tantissimo materiale su internet) perché ora è (molto) più importante insistere su questo concetto: sarà la sequenza dei rendimenti (anni di rendimenti positivi che si alterneranno ad anni di rendimenti negativi) ad avere effetto sui tuoi investimenti; i tuoi investimenti “sperimenteranno” quello, non il rendimento medio che l’investimento ha avuto in passato.

Ora sei pronto a fare la conoscenza di un altro animale mitologico: L’Unicorno della pianificazione finanziaria.

L'unicorno della pianificazione finanziaria

Cosa c’è di più rassicurante di un unicorno? Rappresenta un sogno di grazia e bellezza.

L’Unicorno della pianificazione finanziaria, si manifesta ogni qual volta la traiettoria della crescita futura dei tuoi investimenti ti viene rappresentata con un rassicurante grafico come quello in alto.

Ovvero, quando una suggestiva quanto superficiale proposta di investimento o un rassicurante report di pianificazione finanziaria vengono costruiti “proiettando” nel futuro la “crescita media” che un portafoglio di investimenti (o intere asset classes) ha avuto in passato, in quel preciso momento ti viene presentato un Unicorno della pianificazione finanziaria.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Ma, se ci pensi bene, un’ipotesi di crescita dei tuoi investimenti fatta “proiettando” nel futuro i rendimenti medi passati, ha il 50% di fare peggio di quanto ti è stato prospettato. Non è più tanto rassicurante detta così!

Nella seconda parte introdurremo nel ragionamento i versamenti che un investitore fa durante la fase di accumulazione (presumibilmente fino al pensionamento) ed i prelievi una volta andati in pensione e allora, purtroppo, vedremo quanto i Gremlins della volatilità diventeranno cattivi sul serio e quanto sarà stato pericoloso credere agli Unicorni negli investimenti.

Ma non preoccuparti vedremo anche quali contromisure prendere.

Luca Cirillo, consulente finanziario

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Investire sulla base delle evidenze: Il Global Market Portfolio, il portafoglio finanziario del pianeta Terra.

La diatriba tra i sostenitori degli investimenti passivi e della gestione attiva genera molta confusione. Quali caratteristiche deve avere un portafoglio finanziario per essere considerato “passivo”?

Sempre più spesso sentirai ripetere che la gestione attiva mediamente non riesce a battere il mercato ed è pertanto più razionale ricorrere alla gestione passiva, ovvero ricorrere alla sottoscrizione di strumenti finanziari indicizzati che non si propongono di “battere” il mercato di riferimento ma di fare esattamente come il mercato di riferimento.

Dall’altra parte della barricata c’è chi afferma il contrario, ovvero afferma che esistono gestori (o strategie) che riescono, sistematicamente, a battere il mercato di riferimento e che è pertanto opportuno individuare costoro piuttosto che “accontentarsi” dei rendimenti medi di mercato.

Un vero e proprio scontro, con toni spesso accesi, che va avanti da decenni e che questo contributo non si propone di alimentare.

Credo sia molto più interessante approfondire il vero significato di “investimento passivo”.

Pensiamo ad un portafoglio di investimenti composto da due ETF (Exchange Traded Funds, fondi di investimento utilizzati per replicare l’andamento di un indice), ipotizziamo ad esempio il 60% investito in un ETF azionario e il 40% investito in un ETF obbligazionario; è un portafoglio di investimento passivo? Una volta definita l’allocazione iniziale, si provvede alla periodica manutenzione del portafoglio (il c.d. “ribilanciamento”), ogni qual volta le azioni dovessero apprezzarsi rispetto alle obbligazioni o viceversa. In questo modo si mantiene il rapporto 60/40 definito inizialmente. Aver stabilito di investire, tramite ETF, il 60% in azioni ed il 40% in obbligazioni e adoperarsi per lasciare inalterate queste percentuali nel tempo, è una strategia di investimento attiva o passiva?

portafoglio 60/40

E’ un portafoglio passivo?
E’ se invece il portafoglio dovesse utilizzare quattro diversi ETF rappresentativi di quattro differenti asset classes (ipotizziamo 20% azioni, 40% obbligazioni, 20% oro, 20% immobiliare)? E se utilizziamo dieci ETF? Stiamo investendo nello strumento finanziario (l’ETF) più adatto per costruire una strategia di investimento passiva e, per di più, ci adoperiamo, con periodici ribilanciamenti, a mantenere inalterata l’allocazione iniziale. Più “passivo” di così?

Sfortunatamente persino i più accaniti sostenitori delle strategie di investimento passive sembrano non avere le idee troppo chiare a riguardo quando considerano, come condizione necessaria e sufficiente, l’impiego di ETF per costruire una strategia di investimento passiva.

Torniamo all’esempio di prima, un portafoglio di quattro ETF: 20% azioni, 40% obbligazioni, 20% oro, 20% immobiliare. Sto quindi utilizzando, in queste percentuali, strumenti indicizzati, che replicano “passivamente” i rispettivi indici rinunciando alla pretesa di poterli battere; nuovamente, ciò vuol dire che sono un investitore passivo?

Pensiamoci un attimo; perchè si è deciso di investire proprio il 20% delle disponibilità destinate agli investimenti finanziari in azioni? E perchè proprio il 40% in obbligazioni (sostituisci queste percentuali con qualsiasi altra percentuale tu abbia letto in articoli, blog, proposte della tua banca o del tuo consulente)? Aver deciso queste percentuali è una decisione “molto attiva” perchè è la decisione che avrà l’impatto più significativo sui rendimenti che un investitore otterrà, nel lungo periodo, dal suo portafoglio finanziario [1].

A chi, in termini troppo semplicistici, sostiene la superiorità di una non meglio precisata strategia di investimento passiva, sembrerebbe bastare che il portafoglio sia realizzato utilizzando ETF (o altri strumenti indicizzati a basso costo) perchè si possa parlare di gestione passiva.

Replicare passivamente uno o più indici non basta a rendere “passivo” il portafoglio nel suo insieme; occorre che siano “passive” (si passi il termine) anche le percentuali con le quali il mio portafoglio è esposto ad ogni asset class.

Ovvero le partecipazioni alle singole asset class (vedi sopra, azioni, obbligazioni, commodities, oro, immobiliare, ecc ecc) devono replicare quelle di un portafoglio che si possa oggettivamente, considerare realmente passivo.

Questo portafoglio esiste e si chiama Global Market Portfolio (GMP). Introdotto da due premi Nobel, Markowitz [2] e Tobin [3] che lo definì come “portafoglio super-efficiente” che bilancia perfettamente rischio e rendimento, fu successivamente individuato da William Sharpe (anch’egli premio Nobel) nel portafoglio comprensivo di tutte le attività finanziarie pesate per i rispettivi valori di mercato.

Come è composto il GMP? Eccone di seguito una rappresentazione sulla base di specifiche ricerche accademiche a riguardo [5].

global market portfolio

Il GMP, almeno per chi sostiene l’efficienza dei marcati finanziari, è il portafoglio che, per unità di rischio offre il maggiore rendimento. La “manutenzione” del GMP non richiede un ribilanciamento occorre piuttosto consultare periodicamente la letteratura accademica per verificare che i pesi siano sempre allineati.

Ad esempio, nel grafico in basso, è evidente che ci siano dei portafogli (o singole asset class) che offrono maggiori rendimenti ma presentano un più elevato grado di rischio.

Il GMP, in altre parole, è il portafoglio più efficiente per l’investitore che crede nell’efficienza dei mercati finanziari e che ritiene di non possedere informazioni che il mercato non conosca già e non abbia già scontato.

Veniamo ora al punto fondamentale ma incredibilmente (volutamente?) più trascurato dalla narrazione della “buona consulenza finanziaria” e che l’eterno ed inconcludente scontro tra gestione attiva e gestione passiva ha fatto perdere di vista.

Detenere, intenzionalmente o meno, un portafoglio di investimenti diverso dal Global Market Portfolio implica l’assunto che si sia in possesso di informazioni, di stime di rendimento e di volatilità (ovvero di rischiosità) di ogni singola asset class (azioni, obbligazioni, commodities, ecc ecc). Ovvero implica l’assunto di essere in grado di decidere l’allocazione iniziale e la successiva frequenza e natura del tipo di “manutenzione” da fare al portafoglio finanziario sulla base di evidenze scientifiche non meno qualificate rispetto a quelle che sono alla base del GMP.

Se così non fosse, ovvero se non ci si ritenesse in grado di poter effettuare queste stime, la scelta più razionale dovrebbe essere quelle di investire nel GMP.

I tentativi di migliorare l’efficienza del Global Market Portfolio, il portafoglio passivo per definizione, sono certamente legittimi ma devono essere considerati gestione attiva a tutti gli effetti, anche quando si impiegano ETF per replicare gli indici di riferimento.

Insomma la differenza tra gestione attiva e gestione passiva è molto più sfumata di quanto si creda e l’investitore consapevole non dovrebbe accontentarsi né di generiche affermazioni che alludano a presunte capacità di saper “battere il mercato” né, tantomeno, accontentarsi della generica rassicurazione che il solo utilizzo di strumenti indicizzati sia esso stesso sinonimo di rigore scientifico nelle scelte di investimento.

Il Global Market Portfolio è il faro, il punto fermo che dovrebbe spingere ogni investitore consapevole ad interrogare e pretendere evidenza scritta e dettagliata del protocollo di investimento che il proprio wealth / asset manager intende utilizzare quando quest’ultimo si propone di assisterlo e consigliarlo nelle decisioni di investimento di lungo periodo.

Questa è l’essenza dell’Evidence Based Investing, investire sulla base delle evidenze.

Luca Cirillo | Consulente Finanziario

[1] The True Impact of Asset Allocation on Returns (Roger G. Ibbotson).

[2] Markowitz, Harry. “Portfolio Selection.” The Journal of Finance 7, no. 1 (1952), 77-91. doi:10.1111/j.1540-6261.1952.tb01525.x.

[3] Tobin, J. “Liquidity Preference as Behavior Towards Risk.” The Review of Economic Studies 25, no. 2 (1958), 65. doi:10.2307/2296205.

[4] Sharpe, William F. “Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium Under Conditions of Risk.” The Journal of Finance 19, no. 3 (1964), 425-442. doi:10.1111/j.1540-6261.1964.tb02865.x.

[5] Doeswijk, Ronald, Trevin Lam, and Laurens Swinkels. “Historical Returns of the Market Portfolio.” The Review of Asset Pricing Studies, 2019. doi:10.1093/rapstu/raz010.

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Un bel racconto è anche un buon investimento?

Se recentemente ti è capitato di sfogliare una rivista dedicata agli investimenti finanziari ci sono buone probabilità che ti sia imbattuto in almeno un articolo dedicato al “theme investing”, ovvero agli investimenti tematici: la robotica, la salute, le energie rinnovabili e le criptovalute vanno particolarmente di moda in questo periodo.

In questi articoli, molto convincenti, viene descritto come l’adozione di queste nuove tecnologie sia un trend inevitabile sul quale è opportuno, come investitori, capitalizzare: “l’adozione della robotica su vasta scala”, “veicoli elettrici”, “ricerca sulla genetica”, “shift demografici”.

Delle storie convincenti sono certamente anche buoni investimenti? Non necessariamente.

Cosa può andare per il verso sbagliato?

Gli investimenti tematici sembrano una grande idea: prendere profitto da macro trend apparentemente inevitabili ma chi intende investire in questi trend deve poter vincerecontemporaneamente, tre scommesse per ottenere i risultati sperati:

  1. Il macro trend deve andare nel verso sperato.
  2. Le società presenti nel proprio portafoglio “tematico” devono beneficiare significativamente di questo trend.
  3. I prezzi dei titoli “tematici” non devono riflettere completamente le potenzialità del trend nel momento in cui vengono acquistati.

La prima scommessa è apparentemente quella più facile e, purtroppo, le valutazioni da parte della maggioranza degli investitori si fermano qui.

Ad esempio alla fine degli anni ’90 gli investitori erano “impazziti” per le azioni internet. La storia era molto avvincente: la trasformazione dell’economia come la conosciamo grazie alle società internet. La storia si è rivelata essere vera, solo che il timing fu sbagliato, la transizione ha richiesto molto più tempo del previsto e questo non ha consentito alla maggior parte degli investitori di trarne beneficio, anzi.

Una bella idea ma una difficile applicazione

E’ fuorviante dare per scontato che tutte le azioni presenti nel portafoglio tematico (fondo o ETF che sia) siano ben posizionate per beneficiare pienamente del trend. Infatti è molto difficile individuare società che siano specializzate interamente nel prodotto o servizio caratteristico del tema che si desidera “cavalcare”. Facciamo un esempio, la blockchain: molte società presenti nei fondi tematici blockchain sono nomi come AT&T, Microsoft, Amazon. Possiamo davvero credere che il tema blockchain sia una componente significativa del business complessivo di queste società? Un eventuale positivo trend di questa nuova tecnologia avrà un impatto marginale sull’andamento di quelle azioni.

Il mercato “prezza” correttamente il trend?

Anche se un trend dovesse avere l’andamento sperato dall’investitore questo non necessariamente si tradurrà in rendimenti superiori rispetto a quelli di mercato (quelli ottenibili investendo in un indice diversificato, per intenderci). Del resto, i macro trends non sono certo un segreto. Se ne sei a conoscenza tu è certo che li conoscano tutti gli altri. Ottenere dei “sovra rendimenti” in queste circostanze è una impresa titanica, significherebbe riuscire ad individuare dei settori e delle società con potenzialità delle quali ancora il mercato, ovvero analisti, società e fondi di investimento, gestori ultra-specializzati non si sono ancora accorti. Occorrerebbe essere il più bravo (fortunato?) di tutti.

La maggior parte dei fondi (ed ETF) tematici falliscono

Data la difficoltà di azzeccare contemporaneamente tutte le scommesse di cui sopra è evidente che è un’impresa molto difficile cavalcare un trend ed ottenere risultati superiori a quelli medi di mercato. Solo il 49% dei fondi tematici presenti nel 2009 è sopravvissuto nel 2020, e di questi solo il 26% ha battuto l’indice azionario globale (nello specifico il MSCI World Index). Pertanto, le probabilità di azzeccare “ex-ante” un fondo “vincente” sono pari all’11,7% (45%*26%).

Rischi specifici

Inoltre, è importante essere ben consapevoli dei rischi che si corrono. Ad esempio, una nuova tecnologia può richiedere un tempo ben superiore a quello previsto prima di essere adottata; la competizione potrebbe diventare esasperata ed erodere i profitti, oppure le autorità di controllo potrebbero voler regolamentare un certo settore innovativo. C’è insomma il rischio di pagare troppo, oggi, il biglietto per partecipare alla corsa di un trend potenziale.

Controlla attentamente le partecipazioni del fondo

Controllare come sia costruito il portafoglio nel quale si intende investire ha una enorme importanza. E’ opportuno controllare i criteri di costruzione del portafoglio. Tutte le azioni beneficeranno del trend? Ad esempio, un fondo tematico sull’Intelligenza Artificiale (IA) potrebbe avere al suo interno azioni Amazon, Netflix, Spotify, società che certamente impiegano l’IA, ma a determinare il successo di queste azioni saranno sicuramente le abitudini di consumo dei clienti (ed eventuali loro modifiche), in misura ben superiore agli effetti della effettiva adozione dell’IA. Ad influenzare l’andamento del portafoglio tematico diventano quindi fattori ben diversi da quelli che l’investitore aveva previsto inizialmente.

Ora, spero, hai qualche strumento in più. Ma sei comunque convinto di poter azzeccare tutte e tre le scommesse per cavalcare un trend?