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Monthly Insights

QUADRO MACROECONOMICO

Nel corso del mese di marzo sono pervenute indicazioni in chiaroscuro sulle prospettive dell’economia mondiale.
Ai numerosi segnali di debolezza nei primi tre mesi dell’anno emersi sia in USA sia in area Euro si sono affiancate indicazioni che lasciano presagire una stabilizzazione nel trimestre in corso cui potrebbe seguire una fase recupero nella seconda parte dell’anno, in particolare se venissero meno le tensioni politiche.
Una ripresa dell’economia potrebbe essere favorita anche dalle politiche monetarie e fiscali espansive adottate recentemente sia da alcuni Paesi sviluppati che emergenti.

STATI UNITI

Dall’economia statunitense sono giunti i segnali più contrastanti. I dati macroeconomici pubblicati sono stati generalmente inferiori alle
stime di consensus, come testimoniato dall’Economic Surprise Index di Citigroup, ma allo stesso tempo nelle ultime settimane sono emerse indicazioni che hanno lasciato intravedere un miglioramento dell’attività economica rispetto ad inizio anno. La stima di crescita del PIL del modello della Fed di Atlanta indica ora un’espansione dell’attività economica nel 1Q19 pari al 2,1%, in netto aumento rispetto allo 0,4% che veniva stimato a inizio febbraio. Qualora tale proiezione si dimostrasse corretta, l’economia USA sarebbe cresciuta nel primo trimestre del 2019 allo stesso ritmo della fine del 2018.
Gli indici di fiducia di marzo non sono stati in grado di fornire un quadro omogeneo della situazione economica. L’ISM manifatturiero ha registrato un incremento superiore alle attese, da 54,2 a 55,3, valore in linea con una crescita annua del Pil del 3,7%. Peggiore è stato, invece, sia l’andamento dell’indice ISM non-manifatturiero, sceso da 59,7 a 56,1, che quello dell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board, passato da 131,4 a 124,1. Sostanzialmente in linea con le attese si è invece confermato l’indice di fiducia dei costruttori NAHB, rimasto stabile a 62., valore che lascia prevedere una buona crescita delle costruzioni di nuove case nei prossimi mesi. A dare fiducia agli operatori del settore è il calo dei tassi sui mutui, scesi di 80bp al 4,05% dal massimo registrato a fine novembre 2018.
Luci ed ombre anche dai dati reali di febbraio, con le vendite al dettaglio in ribasso dello 0,2% m/m, peggiori delle attese di consensus (+0,2% m/m), ma con una forte revisione al rialzo del dato di gennaio da 0,2% a 0,7%, e la produzione industriale salita dello 0,1% m/m (consensus a +0,4% m/m), dopo il calo dello 0,1% m/m accusato in gennaio (rivisto da -0,6% m/m).
In tale contesto, e con l’inflazione sotto controllo grazie anche a una crescita moderata dei salari (+3,2% a/a in marzo da +3,4% a/a del mese precedente), la Fed ha annunciato che i tassi resteranno invariati per tutto il 2019 mentre da ottobre si fermerà il processo di normalizzazione
del bilancio.

OUTLOOK

CRESCITA ECONOMICA

EUROPA
I dati economici pubblicati nelle ultime settimane hanno confermato che le prospettive dell’area Euro rimangono deboli. Tra gli indici di fiducia, l’Economic Sentiment Index di marzo è sceso da 106,2 a 105,5, il nono calo consecutivo, segnale di come l’economia potrebbe ulteriormente indebolirsi nel secondo trimestre. Un segnale di recupero è arrivato dall’andamento degli aggregati monetari in febbraio. La massa monetaria M1 è salita del 6,6% a/a in febbraio rispetto al 6,2% a/a di gennaio ed M3 del 4,3% a/a dal 3,8% precedente. I due dati sono in linea con un miglioramento dell’economia durante l’estate.
A pesare sull’area Euro è il rallentamento della Germania, trasformatasi da motore a freno della crescita economica. Il settore industriale è quello che sta soffrendo maggiormente della crisi del settore automobilistico: in febbraio la produzione industriale è salita dello 0,7 % m/m, ma solo grazie al +6,8% m/m delle costruzioni, mentre la produzione nel comparto manifatturiero è scesa dello 0,2% m/m. Gli ordini all’industria non lasciano intravvedere alcun miglioramento nel breve, con un crollo in febbraio del 4,2% m/m. I due principali indici di fiducia delle imprese tedesche hanno registrato un andamento contrastante, con il PMI manifatturiero sceso a 44,1, il minimo dal 2012, mentre l’IFO è salito per la prima volta dopo sei cali consecutivi. Le prospettive della maggiore economia della regione rimangono incerte.

GIAPPONE
Gli ultimi dati dell’economia giapponese hanno mostrato un quadro positivo nel breve termine ma permangono preoccupazioni per lo
scenario di medio periodo qualora le tensioni commerciali tra USA e Cina non dovessero placarsi.
In febbraio la produzione industriale è rimbalzata dell’1,4 % m/m, il primo rialzo dopo tre ribassi consecutivi mentre le vendite al dettaglio sono salite dello 0,4% m/m. In ottica prospettica, l’indice di fiducia delle imprese Tankan è invece sceso da 19 a 12 nel primo trimestre dell’anno, evidenziando le possibilità di un rallentamento dell’economia. Il calo è dovuto principalmente alla debolezza della domanda estera, che colpisce le società di maggiori dimensioni. Il sondaggio relativo alle sole società non-manifatturiere ha evidenziato un calo più moderato, segnale di come la domanda interna sia attesa rimanere sostenuta nel breve grazie al buon momento del mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso in febbraio dal 2,5% al 2,3%.

RISCHI GEOPOLITICI

OUTLOOK

Crescita Economica
L’espansione globale continua a perdere momentum con ripetute revisioni al ribasso della crescita del PIL mondiale per il 2019 e il 2020
sia da parte degli Organismi internazionali che delle principali banche centrali.
L’OCSE (marzo 2019) prevede che il PIL mondiale aumenterà nel 2019 del 3,3% (3.5% stima di novembre); l’IMF (aprile 2019) stima una crescita del 3,3% nel 2019, lo 0,4% in meno rispetto alle proiezioni di ottobre 2018. Nelle sue ultime previsioni la Fed ha ridotto la stima sulla crescita del Pil USA nel 2019 dal 2,3% al 2,1% e nel 2020 dal 2% all’1,9%; tassi linea con le ipotesi più conservative del potenziale di espansione dell’economia americana. Più consistenti i tagli della BCE che vede ora
l’Eurozona crescere solo dell’1,1% nell’anno in corso.
Il trend di rallentamento non dovrebbe tuttavia essere omogeneo e nel corso dell’anno dovrebbero evidenziarsi nuove divergenze con una decelerazione più accentuata nei Paesi sviluppati rispetto a quelli emergenti e differenze fra le diverse economie.

Inflazione
L’inflazione headline ha registrato una marcata decelerazione del ritmo di crescita nella prima parte del 2019, principalmente a causa del calo del prezzo del petrolio a fine 2018. Il recupero delle quotazioni del greggio nelle ultime settimane non dovrebbe tuttavia essere sufficiente per determinare un significativo recupero dei prezzi nei prossimi mesi. Attese di stabilità per l’inflazione core in linea o su livelli ancora inferiori rispetto ai target delle banche centrali. Il buon andamento del mercato del lavoro, con segnali di accelerazione dei salari sia in USA sia in area Euro, non sembra al momento determinare un surriscaldamento dei prezzi. Banche Centrali
L’orientamento delle banche centrali è profondamente cambiato nelle prime settimane del 2019. Fed e BCE, che avevano iniziato l’anno anticipando una politica monetaria restrittiva, dopo i primi segnali di debolezza dell’economia, hanno modificato la propria guidance con orientamenti più accomodanti. I membri della Fed stimano ora che i tassi resteranno stabili per tutto il 2019, contro precedenti attese per due rialzi, e hanno deciso di ridurre il processo di normalizzazione del bilancio nei prossimi mesi fino ad interromperlo completamente da ottobre. La Bce, che stimava di alzare i tassi dopo l’estate, dovrebbe mantenerli stabili per tutto il 2019 introducendo da settembre nuove operazioni di TLTRO che si concluderanno a marzo 2021. La liquidità sul sistema finanziario dovrebbe comunque mantenersi abbondante.

Rischi
I rischi di una guerra commerciale tra USA e Cina sembrano essere diminuiti, con segnali di progresso nella trattative da entrambe le parti.
Il maggiore rischio politico è rappresentato nel breve dal processo di uscita dall’UE del Regno Unito e da rinnovate tensioni con la Corea del Nord.

OUTLOOK

AZIONI
Il rally dei mercati azionari registrato in questi primi mesi del 2019 non è stato supportato da dati macroeconomici positivi o da significativi
flussi di investimento sull’asset class.
Sebbene alcuni indici anticipatori stiano evidenziando alcuni segnali di stabilizzazione, le prospettive di crescita economica per i prossimi mesi appaiono incerte e non mancano rischi dal fronte geopolitico.
Il processo di revisione al ribasso degli utili, particolarmente accentuato negli USA, e che potrebbe intensificarsi in Europa in caso di ulteriore decelerazione economica, non appare scontato dai mercati azionari, al contrario dell’effetto delle politiche monetarie espansive di Fed e BCE e di una possibile soluzione favorevole delle trattative tra USA e Cina sulle barriere commerciali.
Il rialzo delle quotazioni non accompagnato da una corrispondete crescita degli utili attesi ha comportato un’espansione dei multipli di bilancio con valutazioni che, in media, sono ritornate sui massimi di ottobre 2018. Alcuni mercati azionari presentano tuttavia ancora potenzialità di upside. I ritorni attesi per la seconda parte dell’anno, seppur positivi, appaiono contenuti e caratterizzati da elevata volatilità.
Si conferma view di sottopeso sull’asset class azionaria con un aumento del beta di portafoglio e possibilità di apertura di nuove posizioni in caso di correzione dei mercati finanziari. Privilegiati stili di gestione “quality” e “value” e temi di lungo periodo.

OBBLIGAZIONI
L’orientamento più accomodante delle banche centrali, l’attesa di tassi stabili per tutto il 2019 e la mancanza di tensioni inflazionistiche
hanno definito un quadro più favorevole per l’asset class obbligazionaria.
I rendimenti dei governativi americani ed europei si sono già mossi al ribasso e il tasso del Bund decennale è ritornato in territorio negativo. A meno di inattesi rialzi dell’inflazione il trend dei rendimenti dovrebbe stabilizzarsi o scendere ulteriormente, ma lo spazio di performance è molto più contenuto rispetto alla precedente fase di politiche monetarie accomodanti.
Si mantiene quindi posizionamento neutrale sull’asset class obbligazionaria privilegiando aree geografiche che possono maggiormente beneficiare della stabilizzazione dei tassi USA.

ALTERNATIVE
Si mantiene un’esposizione neutrale sulle strategie alternative e flessibili per fini di diversificazione.

LIQUIDITÁ
Si conferma sovrappeso della liquidità attraverso investimenti in strumenti monetari di breve scadenza, con funzione di stabilizzazione nelle fasi di volatilità e come riserva prontamente disponibile per nuovi impieghi in caso di correzione dei mercati finanziari.

ANDAMENTO MERCATI FINANZIARI

In marzo i principali indici azionari internazionali hanno esteso il trend al rialzo del periodo precedente, seppure con passo più moderato.
L’orientamento espansivo delle banche centrali e le attese per una soluzione positiva delle trattative tra USA e Cina hanno favorito le piazze azionarie. A livello valutativo gli indici si sono riportati sui valori precedenti il calo del periodo ottobre-dicembre sia in USA sia in
area Euro. Tra i mercati emergenti la Cina si è confermata la grande protagonista, con l’indice Shanghai Composite in rialzo del 5% in marzo, e di circa il 24% da inizio anno.

EUROZONA
Le borse europee hanno messo a segno una nuova performance positiva in marzo, con l’indice DJ Eurostoxx salito dell’1,2%.
A livello settoriale le migliori performance sono state registrate dai beni di consumo e personali, grazie al trend positivo sia delle società
di beni di consumo di massa (Beiersdorf +13,7% e Unilever +8,9%), sia dalle case di moda (Dior +8,8%, LVMH +8,6% e Moncler +6,5%)
per le attese che l’economia cinese possa rimanere solida anche nei mesi a venire.
In rialzo anche i difensivi, con gli alimentari a +6,4%, e i settori più favoriti dal calo dei tassi di interesse: real estate +4,7%, utility +4%
e telecom +3,7%.
In controtendenza il comparto bancario (-5%), penalizzato dai timori che il calo dei tassi di interesse possa avere un impatto negativo sulla redditività degli istituti finanziari e i settori più legati all’andamento del ciclo economico dell’area Euro, quali le risorse di base (-4,4%), travel & leisure (-3,9%) e automobilistici (-2,8%).

USA
Grazie all’ulteriore recupero messo a segno in marzo, lo S&P500 si è riportato ad un passo dal massimo storico registrato a settembre a quota 2939 punti. I tecnologici sono stati i protagonisti del rialzo delle ultime settimane, con l’indice Nasdaq salito del 2,6%. Microsoft, il titolo a maggiore capitalizzazione del mercato statunitense, ha registrato un balzo del 5%, portandosi sopra i massimi dello scorso mese di settembre.
Anche sul mercato americano hanno sofferto le banche (-5%) a causa del calo dei rendimenti dei governativi e dell’appiattimento della curva. L’indice Dow Jones Industrial ha chiuso il mese di marzo invariato, penalizzato dai ribassi di Boeing (-13%) e Walgreen (-11%). Boeing ha risentito dei timori sulla sicurezza del modello 737, protagonista di un incidente in Etiopia il 10 marzo, che hanno spinto diversi Paesi a bloccarne i voli e diverse compagnie aeree a cancellare gli ordini. Walgreens è arretrata dopo avere annunciato utili inferiori alle attese e abbassato le proprie proiezioni per il resto dell’anno.

I rendimenti core delle principali economie mondiali hanno continuato a ridursi anche durante il mese di marzo, alla luce di nuove
previsioni economiche ancora deboli e di un atteggiamento più accomodante da parte delle banche centrali.
Negli Stati Uniti, il market mover principale è stata la riunione del FOMC del 19-20 marzo che ha confermato la pausa sui tassi di interesse, fermi nel range 2,25 – 2,50, e rallentato il ritmo di riduzione del bilancio, rafforzando l’intenzione di adattare la politica monetaria ai rischi dell’economia.

L’atteggiamento più accomodante della Fed e le nuove proiezioni dei tassi (dots), che escludono aumenti per il 2019 e prevedono un solo rialzo per il 2020, hanno innescato un forte rally dei Treasury con rendimenti in discesa lungo tutti i tratti della curva. La compressione più significativa si è verificata sulle lunghe scadenze, tanto che sul finire del mese il decennale è arrivato a rendere meno della scadenza trimestrale – il 22/03 i rendimenti erano rispettivamente pari a 2,44% e 2,46% –, comportando l’inversione della curva in quel tratto.
Anche nell’Area Euro le dichiarazioni accomodanti da parte del presidente BCE Mario Draghi e alcuni deboli dati macroeconomici hanno favorito una forte compressione dei rendimenti. Nello specifico, il decennale tedesco, che fino a sei mesi fa rendeva più dello 0,5%, è tornato in territorio negativo per la prima volta dal 2016, a -0,07% sul finire del mese L’Italia ha beneficiato, nel complesso, della generale compressione dei rendimenti dei titoli governativi, ma con movimenti più contenuti rispetto agli altri Paesi dell’Eurozona. Sulla carta italiana continuano a pesare i timori sulla sostenibilità del debito e sulla tenuta dell’economia, evidenziati anche dalle ultime previsioni OCSE che proiettano una contrazione del -0,2% del PIL italiano nel 2019.
In termini relativi migliore performance nel mese delle obbligazioni corporate investment grade rispetto alle emissioni di rating inferiore. Il rasserenamento delle tensioni commerciali tra USA e Cina e l’orientamento più accomodante della banca centrale americana hanno influito positivamente sui mercati delle obbligazioni emergenti in hard currency, che da inizio anno hanno registrato un guadagno complessivo del 6,6% in USD.
Condizioni finanziarie più accomodanti a livello globale favoriscono infatti l’obbligazionario emergente, preferito dagli investitori in cerca di extra rendimento, e consentono alle banche centrali dei Paesi emergenti di mantenere un orientamento meno restrittivo (o più espansivo) senza temere deflussi di capitali.
Per contro, il debito in valuta locale ha leggermente corretto nel mese di marzo, complice il deprezzamento registrato da alcune divise emergenti, in particolar modo lira turca, real brasiliano e peso argentino.

AZIONI

USA
Nel corso del primo trimestre 2019 le azioni statunitensi hanno rimbalzato dai minimi di fine dicembre, recuperando più dell’80% delle
perdite realizzate negli ultimi tre mesi del 2018. I rialzi sono stati guidati da due driver principali, un atteggiamento più accomodante
e flessibile da parte della Fed e i continui progressi nei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina. A seguito di tale recupero, le valutazioni sono divenute elevate e superiori rispetto alla media storica. Ad aumentare i livelli di Price Earning hanno contribuito anche le continue revisioni al ribasso degli utili del 2019. Secondo Reuters, nel primo trimestre del 2019 gli utili dovrebbero mostrare una contrazione del -2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si prospetta quindi una
stagione delle trimestrali improntata alla prudenza, quella che ha preso il via venerdì 12 aprile con i conti di JPMorgan e Wells Fargo che hanno tuttavia mostrato risultati superiori alle attese degli analisti.
Un ulteriore segnale di cautela è arrivato anche dall’inversione della curva dei Treasury che si è verificata venerdì 22 marzo: storicamente, tale avvenimento ha anticipato periodi di rallentamento dell’economia, ma con tempi lunghi e di durata variabile. Tali fattori inducono a confermare il sottopeso sull’azionario statunitense.

EUROZONA
I mercati azionari dell’Area Euro si sono accodati alla tendenza positiva di tutti i principali mercati mondiali, con una particolare sovraperformance da parte di Piazza Affari.
Lo scenario per i prossimi mesi rimane tuttavia incerto, caratterizzato da un persistente peggioramento del contesto macroeconomico, da utili attesi in contrazione e da una situazione politica ancora fragile, sulla quale incombono le elezioni europee di fine maggio e una Brexit ancora dall’esito incerto.
Sul fronte microeconomico Reuters stima che nella prossima stagione delle trimestrali, le società dello Stoxx 600 riporteranno ricavi in rallentamento rispetto al 4Q 2018 (da 4% a 2,7% a/a) e utili in contrazione del -3,2% a/a. Si ritiene inoltre che le quotazioni azionarie, pur avendo pienamente incorporato nei prezzi la possibilità di un accordo commerciale USA-Cina, stiano sottovalutando il rischio di un nuovo round di diatribe commerciali che vedrebbe coinvolti Stati Uniti ed Europa.
La situazione potrebbe migliorare nei prossimi trimestri, grazie a una combinazione di rafforzamento dei consumi, politiche fiscali espansive e commercio globale in ripresa, ma l’instabilità di breve periodo induce a mantenere un posizionamento di sottopeso sull’azionario dell’Area Euro.

AZIONI
USA
Le incognite sulle prospettive dell’economia nel 2019 consigliano di mantenere un sottopeso sull’azionario statunitense. L’andamento della curva dei rendimenti e le indicazioni della Fed evidenziano come i dati economici migliori delle attese pubblicati ad inizio anno possano rivelarsi temporanei. La curva dei rendimenti, infatti, rimane vicina ad un’inversione con il differenziale tra i governativi a dieci anni e a quelli a due anni sotto i 20bp. Un’inversione della curva dei rendimenti è stata sempre accompagnata da una recessione entro 12- 18 mesi. La rimozione dal comunicato rilasciato al termine della riunione del FOMC del 29/30 gennaio dell’indicazione della necessità di un rialzo dei tassi conferma come anche la Fed veda i timori di un rallentamento nei prossimi mesi a causa delle tensioni commerciali tra USA e Cina e per l’indebolimento dell’economia mondiale. Per quanto le due super-potenze economiche mondiali possano essere vicine ad un accordo secondo le indiscrezioni, ancora non si vedono passi concreti in tale direzione.
Ad aumentare le incognite sull’economia statunitense sono anche le tensioni politiche, con l’accordo tra amministrazione Trump e democratici per la riapertura del Governo federale che è solo temporaneo.
In tale scenario il mercato azionario potrebbe essere penalizzato dalla revisione al ribasso delle stime sull’andamento degli utili nei prossimi dodici mesi. Gli analisti vedono una crescita degli utili dello S&P500 nel 2019 del 5,6%, una netta revisione al ribasso rispetto all’incremento del 7,4% stimato a inizio anno.

EUROZONA
Il rimbalzo dei mercati azionari nelle prime settimane del 2019 non modifica il quadro d’incertezza sulle prospettive dell’area euro. I dati economici continuare ad essere più deboli delle attese, con i rischi al ribasso in aumento. In particolare sono i principali indici di fiducia a fornire le indicazioni più preoccupanti. Sia l’indice di fiducia economica preparato dalla Commissione Europea sia l’indice di fiducia delle imprese tedesche IFO sono scesi in gennaio ai minimi degli ultimi due anni, anticipando un ulteriore rallentamento dell’economia nei prossimi mesi. Una crescita economica inferiore alle attese potrebbe riflettersi in una redditività contenuta delle società quotate, con l’introduzione di nuove iniezioni di liquidità della BCE tramite operazioni di TLTRO che avrebbero effetti positivi solo sulla redditività delle banche. Per questo motivo si mantiene un sottopeso sull’azionario dell’area euro.

EUROPA EX EURO
Anche per i Paesi europei ex-euro è atteso un rallentamento economico nel corso del 2019 che induce a mantenere un posizionamento di
sottopeso su tale area geografica, con particolare prudenza nei confronti del Regno Unito. Nonostante una Brexit senza accordo sia per ora stata scongiurata, con la proroga concessa dall’Unione Europea fino al 31 ottobre, non vi sono ancora certezze circa le modalità e le tempistiche con le quali si realizzerà. La situazione politica rimane ancora altamente instabile, con potenziali ripercussioni negative sulla fiducia economica, sulla sterlina e su volatilità e performance degli investimenti azionari. Inoltre, la Bank of England potrebbe non essere in grado di attuare politiche espansive fino a quando non ci sarà maggiore chiarezza sul fronte politico.

GIAPPONE
Nel corso dei primi mesi del 2019 l’azionario giapponese ha registrato un buon recupero, supportato anche da valutazioni depresse, che sono tuttavia rimaste su livelli interessanti e inferiori alle medie storiche. Secondo le stime del FMI, l’economia nipponica è prevista in crescita dell’1% nel 2019, dello 0,1% superiore rispetto alle previsioni elaborate in ottobre. Tale revisione al rialzo riflette un più ampio stimolo fiscale in corso d’anno, volto a mitigare gli effetti dell’aumento della tassa sui consumi prevista in ottobre. In particolare, si segnala il continuo miglioramento dei parametri di redditività (es. ROE) che portano le società giapponesi a godere di un migliore posizionamento nelle fasi avanzate del ciclo economico. Si mantiene un posizionamento di sovrappeso.

PAESI EMERGENTI
Secondo le ultime stime del FMI, la crescita per l’intera area emergente rimarrà solida (+4,4%*), trainata in particolar modo da Cina (+6,3%*) e India (+7,3%*). L’ ingente programma di stimoli monetari e fiscali messi in atto dalla Cina nei primi mesi del 2019 e il sempre più vicino accordo commerciale con gli Stati Uniti, sono attesi rilanciare non solo l’economia cinese ma l’intera area asiatica (+5,1%*). Per contro, alcuni Paesi come Argentina e Turchia, continuano ad essere soggetti a forti squilibri economici che creano sfiducia tra gli investitori. In questi Paesi anche le mosse dei governi giocheranno un ruolo fondamentale per le performance azionarie, in quanto cruciale sarà la calibrazione della politica fiscale al fine di dare supporto dell’economia senza accelerare la crescita del debito pubblico.
Sull’azionario dei Paesi emergenti si conferma il posizionamento di sovrappeso, con preferenza verso l’area dell’asia-pacifico, alla luce di condizioni finanziarie più accomodanti, di un allentamento delle tensioni commerciali e di politiche fiscali in espansione.

OBBLIGAZIONI

GOVERNATIVI
L’annuncio di politiche monetarie espansive da parte di Fed e BCE hanno spinto i rendimenti dei governativi sui minimi dell’anno in marzo.
Gli investitori hanno, infatti, interpretato tali decisioni non solo come il fatto che i tassi resteranno su valori bassi per un lungo periodo di
tempo ma anche come il segnale che le prospettive dell’economia possano essere peggiori di quanto ritenuto in precedenza.
Nel breve non si riscontrano segnali di pressioni inflazionistiche per cu i rendimenti potrebbero oscillare introno ai livelli attuali nei prossimi
mesi.
Ciò induce a confermare un orientamento neutrale sulle obbligazioni governative favorendo le emissioni a tasso nominale rispetto ai titoli
indicizzati all’inflazione. Si riscontra ancora valore sul tratto breve della curva americana mentre si propone una riduzione della duration sulle posizioni in BTP in attesa di maggiore volatilità all’avvicinarsi delle elezioni europee.

CORPORATE INV. GRADE
Le attese per un rallentamento dell’economia nel corso del 2019 potrebbero pesare sui corporate bonds. Scontati gli annunci della politica monetaria espansiva di Fed e BCE sull’asset class gli effetti del rallentamento dell’economia mondiale potrebbero rendere l’allargamento degli spread cui si è assistito nel 2018 strutturale. Per questo si mantiene un orientamento di sottopeso sull’asset class, ritenendo che il processo di aggiustamento sarà lento e renderà necessario un approccio selettivo all’asset class.

CORPORATE HIGH YIELD
I corporate high yield hanno esteso in marzo il trend positivo della prima parte dell’anno grazie alla domanda innescata dalla ricerca di extra rendimento a fronte del calo dei tassi dei titoli governativi. Sostanziosi i flussi in entrata nel settore; in Usa, per esempio, i fondi specializzati nel comparto hanno registrato afflussi per USD14,3bn nei primi 3 mesi dell’anno dopo i deflussi per USD20,7bn nel 4Q18. Gli spread sono scesi sia in USA sia in area Euro, portandosi sui minimi rispettivamente da novembre e ottobre.
Si ritiene che l’asset class sia da sottopesare poiché il rallentamento dell’economia potrebbe favorire un nuovo allargamento dei margini nei
prossimi mesi. Una riduzione della propensione al rischio potrebbe inoltre influire sulla liquidità del comparto.

OBBLIGAZIONI PAESI EMERGENTI
Il contesto finanziario più accomodante dovrebbe continuare a favorire le obbligazioni dei Paesi emergenti che, seppur in contrazione nell’ultimo periodo, nel segmento in hard currency offrono ancora spread interessanti rispetto ai benchmark in USD.
L’assenza di tensioni inflazionistiche sta inducendo diverse banche centrali a ridurre o almeno stabilizzare i tassi di interesse a favore di un recupero dei prezzi delle obbligazioni denominate in valuta locale, mentre la minore forza relativa del USD dovrebbe consentire un recupero delle divise locali dei Paesi più virtuosi.
L’ingresso e/o l’aumento del peso delle emissioni in CNY nei principali indici obbligazionari globali dovrebbe creare maggiore domanda sui bond denominati nella divisa cinese, vista in stabilizzazione contro USD in caso di definizione dell’accordo commerciale USA-Cina.
Si conferma posizionamento di sovrappeso su tale asset class con obiettivo di extra-rendimento e diversificazione valutaria.

CURRENCY E COMMODITY
Continua il movimento altalenante dell’Euro contro USD con il cambio che negli ultimi mesi sembra aver trovato supporto in area 1,12.
La riunione della BCE di inizio marzo che ha confermato l’assenza di rialzi dei tassi d’interesse almeno per tutto il 2019, la revisione al ribasso delle stime di crescita e le prospettive di un’inflazione al di sotto del target del 2% anche per gli anni a venire, hanno spinto il cross Euro/USD fino a 1,1176, in prossimità dei minimi degli ultimi 2 anni.
Il messaggio più accomodante espresso dalla Fed ha permesso invece alle altre valute dei Paesi sviluppati di recuperare rispetto alla divisa americana, anche grazie ai progressi nelle trattative fra USA e Cina che hanno aumentato la propensione al rischio degli investitori.
L’Euro sembra tuttavia aver trovato un supporto nelle ultime settimane sebbene continuino a pesare i deboli dati macro dell’Eurozona soprattutto nel manifatturiero tedesco.
La diminuzione, ma non la cancellazione, del rischio di una hard Brexit nel breve periodo hanno dato supporto da inizio anno alla GBP, tuttavia si conferma estremamente incerto l’esito finale del divorzio. L’impatto binario (ossia marcato apprezzamento o marcato deprezzamento) che avrà la soluzione dell’impasse con l’elevata volatilità legata agli incerti negoziati politici continua a suggerire un approccio cauto sulla divisa del Regno Unito.
La conferma della politica espansiva della BOJ, pronta ad iniettare nuova liquidità in caso se ne creasse la necessità, congiuntamente ai progressi nella trattativa commerciale fra USA e Cina, hanno indebolito nell’ultimo periodo lo JPY, tipica valuta rifugio, che nel breve potrebbe continuare il lento deprezzamento a meno del sopraggiungere di nuovi elementi di instabilità dei mercati finanziari.
Dovrebbero proseguire il recupero delle divise emergenti, forti dello stop ai rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed e del miglioramento delle relazioni USA-Cina che potrebbero dare slancio alle economie dei Paesi emergenti, soprattutto quelle più legate alle due superpotenze. Particolare attenzione dovrà essere invece posta nei prossimi mesi sulla lira turca, che ha registrato un brusco deprezzamento a fine marzo, condizionata dalla recessione in cui è caduto il Paese e dalla riduzione delle riserve valutarie della banca
centrale intervenuta in difesa del cambio. Sulle commodity, il taglio della produzione dell’OPEC – seguito finora scrupolosamente a livello aggregato – e le sanzioni verso Iran e Venezuela stanno continuando a dare supporto al petrolio nonostante la produzione USA continui a crescere e lo scenario macro peggiori.
Nel breve ci aspettiamo un mantenimento del trend mentre un catalizzatore nel medio termine potrebbe essere quanto l’Arabia Saudita riesca a mantenere la Russia all’interno dell’accordo.

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Weekly Insights

Weekly News 08 Febbraio 2019

AL CENTRO DELL’ATTENZIONE

1. Rialzo azionario grazie all’impegno della Fed ad agire con pazienza e in base ai dati.
Per la prima volta da quando Jay Powell è Presidente della Federal Reserve, il 30 gennaio l’S&P 500 ha registrato un rialzo nel giorno della decisione del FOMC sui tassi, interrompendo una serie di sette ribassi consecutivi. L’indice ha guadagnato l’1,6% dopo la riunione in cui la banca centrale ha lasciato invariati i tassi d’interesse e sottolineato che gestisce la politica monetaria con «pazienza», senza più menzionare la necessità di «alzare gradualmente» il costo del denaro. Le attuali condizioni economiche sono caratterizzate da scarsità di manodopera, con la disoccupazione in prossimità dei livelli più bassi da quasi 50 anni a quota 4,0%, e una crescita superiore al tendenziale. Tuttavia, ora che l’inflazione sfiora il target del 2%, la Fed non sembra più orientata a operare ulteriori interventi restrittivi e avrà bisogno di un valido motivo per modificare i tassi verso l’alto o verso il basso: la banca centrale potrebbe valutare la possibilità di ritoccare i tassi solo se l’inflazione si portasse sopra il target.

2. Gennaio ha portato sollievo (ad alcuni investitori).
La pesante flessione di dicembre ha spinto quasi tutti i mercati principali in territorio negativo per l’intero 2018, ma gennaio ha
portato sollievo agli investitori, grazie alle rassicurazioni della Fed, all’ottimismo circa i negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti e all’andamento migliore del previsto della stagione degli utili statunitensi del 4T18. Di fatto, quasi tutte le asset class hanno chiuso il mese in rialzo. Le azioni globali sono salite del 7,2%, dopo aver perso il 7,3% a dicembre. La volatilità implicita (indice VIX) è scesa a 16,5, rispetto a un livello medio di 25,4 a dicembre. Il greggio WTI ha archiviato il miglior gennaio dagli anni ’80, guadagnando il 18% dopo il tracollo di quasi l’11% del mese precedente. Gli spread delle obbligazioni high yield statunitensi si sono ristretti di 97 pb, rispetto all’ampliamento di 104 pb a dicembre. Gli strumenti che tendono a beneficiare delle fasi di volatilità hanno continuato a registrare performance brillanti: i rendimenti dei Treasury a 10 anni si sono mantenuti sotto il 2,70% e l’oro ha segnato il quarto rialzo consecutivo su base mensile. Invece, alcuni dei maggiori protagonisti del ribasso di dicembre, in particolare le azioni americane e giapponesi, hanno sottoperformato rispetto ai mercati più ampi.

3. Ancora niente novità sul commercio.
L’unico risultato ottenuto la scorsa settimana nell’ambito dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti è stata la decisione di proseguire le trattative. Donald Trump ha reso noto che i lavori «procedono bene», anche se non si potrà concludere un accordo prima del suo incontro con Xi Jinping «nel prossimo futuro». Tuttavia, le due parti sono ancora piuttosto lontane: Washington
vuole imporre importanti riforme, soprattutto nell’ambito della proprietà intellettuale, mentre Pechino sembra volersi affidare solo all’affiatamento personale tra i due Presidenti per strappare condizioni più favorevoli. Secondo voci di stampa, i responsabili statunitensi delle trattative, Robert Lighthizer e Steven Mnuchin, si recheranno in Cina a metà febbraio per la fase successiva dei negoziati, mentre il vertice Trump- Xi potrebbe avere luogo a fine mese. Non bisogna però dimenticare che le trattative commerciali sono solo una spia della profonda rivalità tra le due superpotenze.

Focus

INVESTIMENTI SOTTO I RIFLETTORI

Via dagli Stati Uniti.
Negli ultimi tre mesi gli investitori hanno ritirato la cifra record di 82 miliardi di dollari dai fondi azionari statunitensi (dati EPFR).

Avversione al rischio.
Nella settimana al 30 gennaio i fondi obbligazionari hanno raccolto 9,4 miliardi di dollari, il livello più alto da un anno a questa parte.

Focus tattico in breve

QUESTA SETTIMANA

Utili statunitensi ancora robusti?
Questa settimana verranno pubblicati i risultati di 97 società dell’S&P 500. Finora gli utili del 4T18 sono stati contrastanti, ma nel complesso mostrano un andamento migliore del previsto. Nonostante il rallentamento da noi atteso, i profitti aziendali dovrebbero comunque registrare una crescita del 5% nel 2019.
Progressi sul fronte Brexit?
Il Primo ministro britannico, Theresa May, ha ottenuto il mandato del Parlamento per ridiscutere il meccanismo di «backstop» attualmente previsto per evitare il ripristino della frontiera tra le due Irlande, ma la UE rimane inflessibile circa la possibile riapertura delle trattative. Dato che la questione rimane ancora avvolta nell’incertezza, sconsigliamo di assumere posizioni direzionali su asset denominati in GBP.

I MERCATI BATTONO LA DEPRESSIONE DI GENNAIO
La pesante flessione di dicembre ha segnato il culmine di uno dei ribassi annuali più generalizzati della storia. Tra le 18 asset class principali, 11 hanno segnato rendimenti negativi su base mensile e sei di queste hanno perso più del 5%.
Su base annuale, solo due asset class (governativi di Stati Uniti ed eurozona) hanno registrato performance positive in valuta locale, che non hanno comunque superato l’1%. Ma, dopo un dicembre da dimenticare, gennaio è stato un mese da ricordare, in cui i mercati hanno recuperato buona parte del terreno perso alla fine dell’anno scorso.

La maggior parte degli strumenti finanziari ha messo a segno un recupero. Grazie al tono più accomodante della politica monetaria dalla Federal Reserve (Fed) e al maggiore ottimismo circa le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, a gennaio tutte e 18 le asset class principali presentate nel grafico hanno registrato una performance positiva, una circostanza che negli ultimi 10 anni si era verificata solo tre volte. Le azioni globali hanno recuperato terreno e l’indice MSCI AC World ha realizzato un rendimento totale del 7,2%, rispetto al calo del 7% di dicembre.
L’S&P 500 è salito del 7,9%, l’apprezzamento più elevato per il mese di gennaio da 32 anni a questa parte. L’S&P 500 a pari pesi ha sovraperformato quello ponderato per la capitalizzazione di mercato di 1,8 punti percentuali, il divario più ampio da quasi 18 anni. Questo dato indica che il rialzo del mercato è stato generalizzato e non concentrato nel segmento delle large cap. Ma, anche dopo il recupero, la dispersione delle valutazioni dell’S&P 500 – ovvero la differenza tra i titoli più costosi e quelli più convenienti – si attesta ai livelli più alti dal 2009, segnalando maggiori opportunità di selezione dei titoli nel prossimo futuro.

Le tensioni di mercato sono rientrate. In linea con il movimento al rialzo dei mercati, gli indicatori della volatilità sono diminuiti. A Natale l’indice VIX era salito a 36 punti, un livello toccato solo due volte dalla crisi del debito dell’eurozona, mentre oggi si attesta nuovamente a quota 16,5, al di sotto della sua media di lungo periodo di
19,3. Gli spread delle obbligazioni high yield statunitensi, un altro barometro delle tensioni di mercato, si sono ridotti di quasi 100 punti base a gennaio, dopo aver registrato un ampliamento di entità analoga a novembre. Inoltre, diversi operatori hanno chiuso le posizioni allo scoperto. Le posizioni corte sull’ETF sul settore tecnologico dell’S&P 500 sono infatti crollate da dicembre a gennaio, passando dai livelli più alti degli ultimi 2,5 anni a quelli più bassi.
Alcuni dei titoli che avevano sovraperformato a dicembre registrano tuttora buoni andamenti.
Perfino gli strumenti che tradizionalmente beneficiano delle fasi di avversione al rischio hanno continuato a ottenere risultati positivi a gennaio. A dicembre i rendimenti del decennale americano sono scesi dal 2,99% al 2,68%, poiché gli investitori, preoccupati per il rallentamento della crescita mondiale, hanno cercato rifugio nei settori più sicuri in un
contesto di volatilità. Grazie all’orientamento più neutrale assunto dalla Fed, i tassi obbligazionari sono ulteriormente scesi a gennaio, chiudendo il mese in leggero calo al 2,63%. A sua volta, l’oro si è apprezzato del 3% a gennaio, dopo il rafforzamento del 5% registrato a dicembre. Alcuni dei titoli che avevano sottoperformato a dicembre non hanno però segnato recuperi altrettanto brillanti a gennaio. L’MSCI USA aveva lasciato sul campo il 9% a dicembre, rispetto al calo del 4,5% del resto del mondo. A gennaio le azioni globali si sono riprese, ma quelle statunitensi hanno riguadagnato solo una parte del terreno perso, con un rendimento totale dell’8,2% contro il 7,6% del resto del mondo. Anche le azioni giapponesi, che
a dicembre erano scese del 9,8%, sono salite solo del 5,2% a gennaio.

Queste osservazioni ci permettono di trarre due importanti conclusioni.
Primo: diversificare. Il quarto trimestre del 2018 ci ha insegnato che anche le asset class più brillanti, come le azioni statunitensi, non sono immuni dai ribassi.
Secondo: operare con selettività. Ad esempio, la dispersione delle valutazioni ai massimi da diversi anni dovrebbe generare opportunità di selezione dei titoli.

Focus ITALIA
LA FED TIENE A BADA IL CRESCENTE NERVOSISMO DEI MERCATI
La settimana appena conclusa ha fornito una chiara indicazione sul ruolo che le banche centrali dovranno giocare nella prima fase dell’anno. I mercati chiamano a gran voce l’intervento dei banchieri centrali attraverso nuove misure accomodanti a sostegno dell’economia. L’attenzione è stata quindi rivolta alla Fed e alle parole di Powell sul futuro della politica monetaria americana. Centrale è stato il tema della normalizzazione del bilancio, con le manovre convenzionali rilegate a ruolo di comparsa. La posizione del governatore è ormai diametralmente opposta rispetto a quella adottata alla metà del dicembre scorso. Powell si è detto disponibile ad utilizzare qualsiasi strumento a disposizione nel caso in cui interventi sui tassi non dovessero bastare. Se da un lato non sono state fornite indicazioni riguardo al target finale del processo di normalizzazione del bilancio, dall’altro la Fed ha per la prima volta presentato un comunicato ad hoc sulle manovre non convenzionali. Si tratta di un’importante novità, a sottolineare la futura centralità del bilancio nei prossimi incontri.

Ricordiamo che attualmente la banca centrale non reinveste i titoli detenuti a scadenza. Di contro, la richiesta del mercato è invece quella di una maggiore liquidità a sostegno dell’economia attraverso nuove politiche espansive. A questo punto diventa centrale il prossimo incontro della Fed, in agenda per il prossimo 20 marzo. Nel giro di due
settimane, Fed e BCE hanno dovuto quindi assumere posizioni accomodanti per far fronte a richieste sempre più forti di liquidità e sostegno all’economia. Nel contesto dell’attuale rallentamento economico continua ad avere un ruolo centrale la Cina. A riprova dell’attuale momento opaco, il PMI manifatturiero Caixin si è attestato a 48,3, il livello più basso dal febbraio 2016 e al di sotto della soglia dei 50 per il secondo mese consecutivo. I dati macroeconomici deludenti fanno pressione sul fronte cinese per un’intesa nei negoziati in corso con gli Stati Uniti. Come ampiamente atteso, nel corso dell’attesissimo meeting di Washington non si è arrivati ad una conclusione definitiva. Senza dubbio il clima di fiducia è ai massimi dall’inizio dei negoziati. Il presidente americano Trump si è detto fiducioso di poter raggiungere un accordo entro la fine della tregua sulle sanzioni, il prossimo incontro tra le delegazioni è previsto per il 15 febbraio a Pechino. Lo spettro del rallentamento cinese si è allungato anche sulla reporting season americana, entrata ormai nel vivo con i titoli industriali e tecnologici. Nella giornata precedente alla Fed, le trimestrali americane hanno prima visto cadere Caterpillar, con risultati inferiori alle attese e revisione degli obiettivi per l’anno in corso, e poi Nvidia in seguito a profit warning inatteso. Entrambe le società hanno fatto riferimento al raffreddamento del mercato cinese, che ha colpito in maniera più forte del previsto. Sulle ali di un mese di gennaio particolarmente brillante e con l’attenzione degli operatori rivolta alla Fed, la reazione del mercato non si è dimostrata particolarmente violenta. Sul fronte domestico, l’indice FTSE Mib ha chiuso il mese di gennaio con  un ottimo +7.68%, nonstante le notizie sul fronte macroeconomico non lasciano molto spazio ai festeggiamenti.
Nel giro di due giorni sono pesate sui mercati la pubblicazione del PIL italiano e l’indice PMI manifatturiero a 47,8. L’ultimo trimestre 2018 ha registrato una nuova contrazione del -0,2%, ufficializzando di fatto la recessione tecnica per l’Italia. La settimana ha chiuso in ribasso dell’1.18%. Hanno registrato una buona performance i settori Consumer Discretionary e Energy. Prosegue invece la sottoperformance del settore Banche, appesantito da indiscrezioni su regolamentazioni sempre più stringenti e allargamento dello spread. Con la chiusura del mese di gennaio è aumentata infatti la tensione sul fronte titoli governativi. Il differenziale Btp-Bund ha toccato quota 263 nella giornata di venerdì. Sicuramente i dati macro sotto le attese hanno influito sul mood degli investitori, ma questa non sembra essere l’unica spiegazione. L’allargamento di 20pb nella sola giornata di venerdì potrebbe essere spiegata dalla chiusura del ribilanciamento da parte dei gestori, come evidenziato nelle scorse settimane. Le tensioni create dal governo italiano nel corso del 2018 avevano molto probabilmente portato i gestori a scaricare i titoli di stato italiani dai portafogli.
La necessità di riportasi a benchmark ad inizio anno ha spinto al ribasso il rendimento dei Btp per poi ripiegare con l’inizio di febbraio una volta ribilanciati in parte i portafogli.
Prendendo in considerazione inoltre i risultati delle ultime aste e collocamenti in sindacato avvenute nei giorni passati è possibile avere un’ulteriore indicazione di ciò. Dopo la risposta positiva sul Bot a 6 mesi, con bid to cover a 1,82 e tasso medio ponderato di nuovo negativo, e i risultati record del collocamento di metà gennaio, l’umore si è decisamente raffreddato sui titoli a più lunga scadenza il giorno seguente. E’ possibile in questo caso che due indizi non facciano una prova, ma fornirebbero alcune importanti evidenze riguardo l’apparente entusiasmo di inizio anno. Nel corso di febbraio andranno in scadenza 23 miliardi di euro di Btp, sarà importante tenere sotto controllo i prossimi collocamenti in ottica di avvicinamento all’annuncio di un possibile TLTRO da parte della BCE. I primi appuntamenti elettorali regionali potrebbero inoltre dare indicazioni riguardo il gradimento dei partiti al governo e il rispettivo peso all’interno dell’esecutivo, anche in vista delle prossime elezioni europee di maggio.

Focus
E’ proseguita nel corso della settimana la saga sulla governance di Telecom Italia. Dopo l’arrotondamento della quota in Telecom, (dall’8,8% all’attuale 9,4%) comunicato in settimana da Elliott, la stampa ha parlato di ulteriori incrementi da parte del fondo americano. L’obiettivo potrebbe quindi essere tra il 10% e il 15%, mentre altre fonti di stampa hanno posto il 10% come soglia limite. Inoltre, il fondo canadese Canada Pension Plan è salito al 3,133% del capitale ordinario del Gruppo, dal 2,33% dello scorso maggio. Sul tema integrazione Telecom-Open Fiber, la stampa ha riferito di un accordo, firmato dai CEO delle due società, per agevolare le trattative sulla rete unica. I termini di un possibile accordo sarebbero stati illustrati da Gubitosi al Comitato Strategico di Telecom ai consiglieri di Elliott e Vivendi. In settimana sono inoltre emerse indiscrezioni riguardo un possibile accordo di sharing, tra Telecom e Vodafone, sia delle torri mobili che degli apparati di trasmissione per ottenere sinergie di costo legate allo sviluppo del 5G. La stampa ha segnalato inoltre il via libera da parte di Agcom al progetto annunciato nel 2017 da Telecom per il decommisioning di 6.500 centrali in rame su 10.400 complessive, questo dovrebbe consentire al gruppo di conseguire significativi risparmi annui
(circa 700 milioni di euro a regime dal 2024).
Sono emerse nei giorni scorsi nuove indiscrezioni riguardo al possibile progetto da parte di Mediaset per la costituzione di un nuovo polo europeo per la Tv generalista. Secondo la stampa, il prossimo Consiglio di Amministrazione del gruppo (15 febbraio) potrebbe discutere progetti di M&A che includano opzioni per riacquistare le minoranze della controllata Mediaset Espana, in vista di un’eventuale accordo con la tedesca Prosieben Sat.

L’amministratore delegato di Banco BPM, ha dichiarato in un’intervista che il 2019 sarà il primo anno in cui il gruppo sarà in grado di registrare una redditività normalizzata grazie al forte derisking portato a termine negli ultimi 2 anni. Il manager ha inoltre sostenuto di non essere interessato a Carige in quanto il turnaround della società precluderebbe al gruppo di cogliere altre opportunità di consolidamento. Fonti di stampa hanno riportato ulteriori indiscrezioni sul piano BPER con un’indicazione di valutazione cash di Unipol Banca a 260-280 milioni di euro (la nostra stima è di 330 milioni per l’80%): l’acquisizione potrebbe essere discussa dal Consiglio di Amministrazione di BPER il prossimo 7 febbraio. La stampa si è inoltre focalizzata sulle cooperative che controllano Unipol e che starebbero valutando una riorganizzazione con mandato di advisory affidato a Rothschild.

Il principale veicolo, che controlla il 22% di Unipol, versa in condizioni non ottimali soprattutto a causa dell’andamento operativo delle società industriali attive nella grande distribuzione commerciale in Italia. Cerved e Eurobank hanno annunciato di aver sottoscritto un accordo vincolante per sviluppare una partnership industriale di lungo periodo avente in oggetto la gestione delle attività di real estate. Cerved acquisirà l’intero capitale di Eurobank Property Services (EPS) in Grecia e delle sue controllate in Romania e in Serbia. Le società acquisite sono leader nei servizi di real estate nei rispettivi paesi, offrendo un’ampia gamma di servizi che includono valutazione, servizi di agency, perizie tecniche ricerche di mercato e property management. Il closing è previsto per il primo trimestre 2019 e prevede il pagamento di 8 milioni di euro, a cui potrebbero aggiungersi ulteriori 5 milioni sulla base del raggiungimento di risultati economici conseguiti fino al 2023. Il gruppo ha pubblicato i risultati preliminari; i numeri sono stati superiori alle nostre attese e alle aspettative del mercato, grazie al recupero della divisione Credit Information Corporate e a migliori margini nel Credit Management. Ferrari ha pubblicato i risultati per il quarto trimestre 2018, complessivamente in linea con le attese. Le indicazioni fornite dalla società per il 2019 sono state sostanzialmente in linea con le attese, con flussi di cassa superiori alle stime del mercato grazie agli anticipi sulla Ferrari Monza e nonostante forti investimenti. Ferrari presenterà 5 nuovi modelli nel 2019 dei 15 inclusi nel piano al 2022. Infine, il CEO ha affermato che gli ordini rimangono molto forti e la società non ha ricevuto cancellazioni superiori ai livelli usuali. Abbiamo quindi rivisto le nostre stime leggermente in rialzo nel 2019/2020 (+2% circa). Moncler ha comunicato che da questa stagione il gruppo di designer coinvolti nel progetto Genius si amplia accogliendo Richard Quinn e Matthew Williams. Le visioni dei designer di Moncler Genius verranno svelate a Milano il 20 febbraio. Continuiamo a ritenere che il progetto Genius rappresenti un elemento veramente distintivo per Moncler, l’evoluzione del progetto nel 2019 dovrebbe continuare a supportare il brand.

Come comunicato da Rossini Investimenti SpA, risultano portate in adesione n. 59.816 azioni ordinarie di Recordati, pari a circa lo 0,061% delle azioni oggetto dell’offerta e, dunque, pari a circa lo 0,029% del capitale sociale. La partecipazione detenuta indirettamente da Rossini sarà quindi complessivamente del 51,82%. Alla luce dei risultati
provvisori dell’offerta, non si sono verificati i presupposti per la riapertura dei termini e per l’obbligo di acquisto da parte di Rossini.
Sul fronte Energy, Saipem ha annunciato che la propria divisione Xsight, si è aggiudicata un nuovo contratto per il Feed (Front-end engineering design) per un progetto assegnato da ExxonMobil in Vietnam. Il contratto ha un valore limitato, ma rafforza la collaborazione strategica con ExxonMobil e potrebbe ben posizionare Saipem in fase di aggiudicazione
dei contratti di ingegneria, procurement e costruzione.
Per quanto riguarda Saras, i margini di raffinazione area Mediterraneo sono stati in ulteriore calo la scorsa settimana. Il benchmark EMC si è attestato sotto la soglia di parità a -0,7 dollari al barile dal precedente +0,4 dollari. La media da inizio anno risulta essere pari a 0,4 dollari al barile, dopo che il terzo trimestre 2018 si è chiuso a 1,8 dollari. Per quanto riguarda la lista titoli non interessanti, Ferragamo ha riportato risultati deludenti per l’ultimo trimestre 2018, con ricavi a perimetro costante sotto le attese. Rivediamo a ribasso le stime per gli anni 2018-20; vediamo rischi a ribasso di circa -10%/12% in termini di utile per azione per il 2018 e 2019.
La stampa ha riportato alcune indiscrezioni del responsabile Vertical Lift di Boeing, che ha incontrato a Roma il management di Leonardo. Questo ha evidenziato che le relazioni tra i due gruppi sono forti e possono prendere molte direzioni. Dopo la gara con USAF per 84 elicotteri, vinta da Boeing su un adattamento del AW139 di Leonardo, i colloqui in corso potrebbero riguardare un’estensione della partnership al di fuori degli USA. La stampa ha inoltre riportato che Emirates potrebbe cancellare l’ordine fino a 36 A380 Airbus, questo impatterebbe negativamente Leonardo, che produce una parte significativa della sezione centrale della fusoliera.

Focus tattico in breve
Questa sezione comprende idee di investimento con un’impronta più di breve periodo. All’interno di questa sezione verranno proposte alternative di investimento tra titoli dello stesso settore o anche di settori diversi basate su diversa attrattività dell’investimento. Molto spesso accade che titoli per noi interessanti dal punto di vista fondamentale nel medio-lungo periodo possano subire nel breve periodo una perdita di attrattività per diverse motivazioni ( prese di profitto alla comunicazione dei dati, debolezza del settore, performance relativa particolarmente forte/debole, ecc). Potrà quindi accadere che titoli indicati nella nostra lista principale come “interessanti” possano risultare “non interessanti” nel breve periodo. In questa sezione inseriamo alternative di investimento tra titoli nello stesso settore o anche in settori diversi basate su diversa attrattività dell’investimento in ottica di medio-breve periodo. Settore Assicurativo: preferire le Unipol alle Unipolsai. Questa settimana il differenziale di prezzo tra i due titoli è andato a favore di Unipolsai. Le nostre attese di riduzione del differenziale di performance tra i due titoli si basano su: 1) Indiscrezioni di stampa secondo le quali la cessione di Unipol Banca a BPER potrebbe fare parte del prossimo piano industriale dell’istituto di credito emiliano e si dovrebbe concludere entro il 2019. L’operazione prevedrebbe una valutazione di circa 250-280 milioni di euro per Unipol Banca. Unipol SAI dovrebbe esercitare a breve l’opzione put sul 27,49% di Unipol Banca per un controvalore di 579 milioni di euro (l’esercizio scade il 6 aprile 2019). Ci aspettiamo che Unipolsai eserciterà l’opzione, dopo di che Unipol Gruppo avrà l’85.24% di Unipol Banca. Unipol/Unipolsai presenterà il nuovo business plan tra primavera e estate 2019. La vendita di Unipol Banca dovrebbe accelerare l’accorciamento della catena. 2) Abbiamo aggiornato il nav includendo il valore aggiornato di Unipol Banca e il valore della Put . Alla luce di questo lo sconto di Unipol sul NAV è del 38% decisamente elevato in termini storici;

Settore Bancario: preferire le Intesa SanPaolo alle Mediobanca. Il differenziale di prezzo tra i due titoli è andato a favore di Intesa. Le nostre attese di riduzione del differenziale di performance tra i due titoli si basano su:

1) Le due banche trattano allo stesso multiplo P/TE (Prezzo/Patrimonio netto tangibile) ma Intesa ha un ROTE 2019 (ritorno su patrimonio netto tangibile) leggermente migliore (9.5% vs 8.5% circa) e un dividendo più alto (9.5% vs 6%).

2) Intesa SanPaolo non corre rischi che qualche azionista forte riduca la quota, infatti la Compagnia Sanpaolo recentemente ha ridotto la sua partecipazione azionaria al 6,79% e ha dichiarato che non ha intenzione di scendere ulteriormente. Invece Bollorè, che possiede il 7,86% di Mediobanca, recentemente ha deciso di uscire dal patto di sindacato e potrebbe decidere di vendere la sua quota a partire dal 1° gennaio 2019. Inoltre c’è anche incertezza di cosa Unicredit voglia fare con la sua quota in Mediobanca, pari al 8.6%.

3) Graficamente il rapporto di prezzo
tra le due banche ha raggiunto un livello molto interessante. L’andamento è molto legato anche allo spread btp/bund. Solitamente Intesa sovraperforma Mediobanca quando lo spread si riduce (risk on) e sottoperforma quando lo spread si allarga (risk off).